Mercoledì 3 Marzo 2021
"La pace è possibile, la pace è l'unica strada. La democrazia è l'unica luce per questa strada." Così ha dichiarato il Cardinale Bo, Arcivescovo di Yangoon, nelle ore successive alla più dura delle giornate di protesta che stanno scuotendo e insanguinando il Myanmar. Il primo febbraio un colpo di stato militare giustificato da presunti brogli elettorali ha interrotto il processo democratico, prevenendo l'insediamento del parlamento eletto nelle elezioni dello scorso novembre che aveva visto la vittoria del Lega Nazionale per la Democrazia (NLD).
La popolazione, memore di quasi tre decenni di dittatura della Giunta militare, ha reagito in massa, unita e pacificamente rifiutando di fatto le azioni dell’esercito, chiedendo il ristabilirsi della democrazia e del volere del popolo. Con essa i rappresentanti della società civile nelle sue varie espressioni, si sono uniti alla protesta: medici, insegnanti, leader religiosi, rappresentanti delle organizzazioni mettono in atto quotidianamente forme di protesta civile e pacifica.
Anche la Chiesa del Myanmar si è espressa molto chiaramente a favore della democrazia, del dialogo tra le parti, della pace e contro l’uso della violenza e del sopruso spinto dalla brama di potere. Il Cardinal Bo già nei primissimi giorni dopo il golpe ha manifestato ufficialmente la propria preoccupazione e l’esigenza di mantenere la pace nel Paese nel rispetto dell’espressione popolare.
Significativa anche la presa di posizione di Caritas Myanmar (KMSS-Karuna Mission Social Solidarity), che “...esprime la propria solidarietà con il popolo che sente il dolore per i voti espressi a favore della democrazia. Mentre migliaia di persone si riuniscono ogni giorno, mettendo a repentaglio la propria vita e il proprio futuro, in un ampio movimento di disobbedienza civile, ci uniamo a loro nella resistenza pacifica contro tutti gli sforzi per negare l’espressione del popolo. Il popolo del Myanmar ha dimostrato con le proteste non violente ed ordinate che sono possibili atti non violenti. (…). Il KMSS approva la loro lotta per la ‘dignità umana’, un principio chiave della Dottrina Sociale della Chiesa.”
Mentre la popolazione è, anche in Myanmar, piegata dalla pandemia e dalle conseguenze economiche della stessa, mentre i giovani vedono negato loro il futuro democratico della nazione e i propri sogni di libertà duramente conquistata dai padri, e il popolo dimostra una spinta unitaria senza precedenti, l’esercito sta rispondendo, in questi giorni, con estrema violenza. Si contano già decine di vittime; dopo una prima fase di attesa, da qualche giorno le manifestazioni popolari vengono represse con crescente violenza e con arresti di massa. In molte situazioni, fedeli laici, sacerdoti e suore sono scesi in piazza pacificamente per manifestare in favore di un Myanmar pacifico e democratico, come Sr. Ann Nu Thawng, che con il suo gesto ha permesso a circa 100 manifestanti di sfuggire alle cariche della polizia.
Caritas Italiana, in sintonia con Papa Francesco, segue con viva preoccupazione gli sviluppi della situazione che si è venuta a creare in Myanmar, e in costante contatto con la Caritas in Myanmar e i partner in loco monitora la situazione, con particolare attenzione alle persone più emarginate che, come sempre accade, rischiano di vedere ancor di più lnon riconosciuti i propri diritti.
La popolazione, memore di quasi tre decenni di dittatura della Giunta militare, ha reagito in massa, unita e pacificamente rifiutando di fatto le azioni dell’esercito, chiedendo il ristabilirsi della democrazia e del volere del popolo. Con essa i rappresentanti della società civile nelle sue varie espressioni, si sono uniti alla protesta: medici, insegnanti, leader religiosi, rappresentanti delle organizzazioni mettono in atto quotidianamente forme di protesta civile e pacifica.
Anche la Chiesa del Myanmar si è espressa molto chiaramente a favore della democrazia, del dialogo tra le parti, della pace e contro l’uso della violenza e del sopruso spinto dalla brama di potere. Il Cardinal Bo già nei primissimi giorni dopo il golpe ha manifestato ufficialmente la propria preoccupazione e l’esigenza di mantenere la pace nel Paese nel rispetto dell’espressione popolare.
Significativa anche la presa di posizione di Caritas Myanmar (KMSS-Karuna Mission Social Solidarity), che “...esprime la propria solidarietà con il popolo che sente il dolore per i voti espressi a favore della democrazia. Mentre migliaia di persone si riuniscono ogni giorno, mettendo a repentaglio la propria vita e il proprio futuro, in un ampio movimento di disobbedienza civile, ci uniamo a loro nella resistenza pacifica contro tutti gli sforzi per negare l’espressione del popolo. Il popolo del Myanmar ha dimostrato con le proteste non violente ed ordinate che sono possibili atti non violenti. (…). Il KMSS approva la loro lotta per la ‘dignità umana’, un principio chiave della Dottrina Sociale della Chiesa.”
Mentre la popolazione è, anche in Myanmar, piegata dalla pandemia e dalle conseguenze economiche della stessa, mentre i giovani vedono negato loro il futuro democratico della nazione e i propri sogni di libertà duramente conquistata dai padri, e il popolo dimostra una spinta unitaria senza precedenti, l’esercito sta rispondendo, in questi giorni, con estrema violenza. Si contano già decine di vittime; dopo una prima fase di attesa, da qualche giorno le manifestazioni popolari vengono represse con crescente violenza e con arresti di massa. In molte situazioni, fedeli laici, sacerdoti e suore sono scesi in piazza pacificamente per manifestare in favore di un Myanmar pacifico e democratico, come Sr. Ann Nu Thawng, che con il suo gesto ha permesso a circa 100 manifestanti di sfuggire alle cariche della polizia.
Caritas Italiana, in sintonia con Papa Francesco, segue con viva preoccupazione gli sviluppi della situazione che si è venuta a creare in Myanmar, e in costante contatto con la Caritas in Myanmar e i partner in loco monitora la situazione, con particolare attenzione alle persone più emarginate che, come sempre accade, rischiano di vedere ancor di più lnon riconosciuti i propri diritti.
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