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Vigevano si cura del mattino e della notte   versione testuale
13 maggio 2020

Magari non l’alfa, ma beta e gamma. Magari non l’alba, ma il primo mattino. E all’altro capo della storia l’omega, il tramonto che sprofonda nella notte. La Caritas diocesana di Vigevano, nei due, ormai quasi tre mesi di epidemia da Coronavirus, ha provato a rivedere se stessa e i propri servizi, per trovare risposte a una quotidianità stravolta. L’ha fatto non certo trascurando le attività che costituiscono l’ossatura ordinaria della presenza di una Caritas nel proprio territorio: servizi (centri d’ascolto e d’accoglienza, mense e dormitori) rivolti alla parte di storia che sta in mezzo, a chi sperimenta la fatica dell’esistenza in pieno giorno, all’alfabeto per molti stentato della condizione adulta. «Abbiamo riformulato orari e modalità d’apertura, abbiamo chiuso alcuni luoghi di servizio per potenziarne altri, abbiamo trasferito l’ascolto su telefoni e telefonini ma l’abbiamo continuato, abbiamo spiegato ai volontari over 65 che la prima forma di carità era non esporsi al contagio e nelle ultime settimane abbiamo imbarcato l’inedita disponibilità al volontariato di persone più giovani, abbiamo intensificato le forme di aiuto alimentare», sintetizza don Moreno Locatelli, direttore di una delle tre Caritas diocesane che, con quella di Tortona e quella del capoluogo, si spartiscono il territorio della provincia di Pavia, coordinando circa 90 parrocchie della Lomellina, dove abitano circa 200 mila persone. «Abbiamo assunto decisioni condivise con le altre nove Caritas della Lombardia – argomenta don Locatelli – e abbiamo partecipato, insieme alle altre due Caritas pavesi, all’unità di crisi che, per il nostro territorio, è stata convocata dalla prefettura. Questo ci ha consentito, soprattutto nella fase iniziale dell’epidemia, di dare una mano anche sul fronte sanitario, mettendoci a disposizione degli ospedali per forniture di biancheria, coperte e lenzuola, oppure facendo da tramite nelle comunicazioni con le famiglie dei malati».
A questo sforzo di adattamento e rinnovamento della propria esperienza ordinaria, che già di per sé drena energie organizzative, mentali e spirituali, la Caritas vigevanese ha però voluto aggiungere due attenzioni speciali. Per non trascurare o sottovalutare, come è facile che accada, le esigenze delle persone che si collocano ai due estremi del complesso dinamismo di una comunità. E dunque (beta e gamma, mattino delle generazioni) i bambini e i ragazzini: quelli che l’epidemia consegna spesso alle cure di uno schermo, computer o telefonino che sia, vuoi per riempire i vuoti della clausura domestica, vuoi perché i genitori devono intanto lavorare a casa. «Ci siamo preoccupati di dimostrare che è possibile un utilizzo intelligente del mezzo tecnologico – chiarisce don Moreno –. Avevamo già alcune attività con i minori, abbiamo educatori e giovani in servizio civile, abbiamo coinvolto volontari della locale Fondazione Negrone. Insieme, sono diventati il perno del progetto Study’n’Play». Caritas Vigevano l’ha definito «una proposta “agile” al servizio delle famiglie». Agile perché non richiede grandi infrastrutture, solo una connessione, una spruzzata di fantasia e la voglia di credere che un rapporto educativo autentico può funzionare anche a distanza: «La formula è semplice, un educatore allo schermo con tre-quattro bambini, il tempo dei compiti, laboratori manuali, momenti di attività fisica, il ballo, la ginnastica… Insomma, le cose che si fanno solitamente in presenza, vissute ancora insieme. Per non smarrire il gusto della relazione». E agile per contribuire alla serenità della famiglia e alla conciliazione tra i tempi di cura dei figli e quelli di lavoro, «che anche smart, anche da casa, i genitori devono poter fare in tranquillità, senza che i ragazzi debbano per forza essere parcheggiati davanti a un videogioco».
 
Ferite, cioè varchi alla speranza
E poi c’è l’altro estremo della curva dell’esistenza. Il momento finale, l’omega e il tramonto che l’epidemia hanno sfregiato in modo terribile, i defunti derubati degli onori e delle preghiere, i congiunti scippati del conforto della condoglianza, del con dolere, del soffrire insieme che cura lo sgomento con la relazione. «Ci siamo mossi subito, nei giorni tremendi in cui l’ospedale di Vigevano ha visto schizzare la curva quotidiana dei decessi da 10 a 30. Il nostro vescovo, Maurizio Gervasoni, ci ha sollecitato a provare a dare una risposta. E noi – si schermisce don Moreno – ci abbiamo provato».
Ci hanno provato. E ci sono riusciti. Hanno radunato, attraverso il locale Centro di consulenza famigliare, ma anche attraverso conoscenze e il passaparola, una decina di professionisti, psicologi e psicoterapeuti che hanno accettato di fornire un servizio gratuito. «Per intercettare i famigliari reduci da un lutto recente nel momento della fragilità, dello smarrimento, anche della rabbia. Per provare a gestire questi umanissimi sentimenti in un tempo di isolamento, in alcuni casi di malattia, che li rende ancora più aspri. E per arrivare, tramite un percorso che dura nel tempo, attraverso collegamenti da remoto, a provare a rielaborare il lutto».
Il servizio si è rivelato tanto prezioso da essere mutuato dalle Caritas gemelle di Pavia e Tortona, arrivando ad accogliere richieste di aiuto che arrivano ancora da più lontano. Ma l’onore ulteriore che deve essere reso alla morte, almeno da quando gli uomini si dicono civili, è quello della memoria. Anch’esso minacciato dai tempi agghiaccianti che stiamo attraversando. Nei quali i defunti rischiano di essere ridotti a bare accatastate da smaltire. «Invece gli scomparsi sono stati presenze innestate in una comunità. E allora – spiega don Locatelli – abbiamo chiesto a chi ha dovuto subire il lutto di scrivere una paginetta, anche poche righe, per ricordare in chiave di ringraziamento il proprio padre o madre, o nonno o nonna, o magari l’anziana che era stata apprezzata maestra, il vecchio con un lungo passato di commerciante in paese». I brevi ritratti vengono pubblicati sul giornale diocesano locale, l’Araldo Lomellino: nessun intento memorialistico o archivistico, semplicemente la volontà di ridare spazio alla memoria. E alla partecipazione comunitaria al dolore privato, per aprire paradossali varchi alla speranza. «Il Risorto, infatti, è risorto con le ferite»: quelle che le comunità si porteranno addosso, domani, a causa di tante assenze e dopo tante sofferenze. Tornando però, anche grazie a quelle memorie, a generare vita, relazione, futuro.
 
Paolo Brivio