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Lunedì 20 Aprile 2020
Milano solidale, aperta nonostante tutto    versione testuale
20 marzo 2020

Lo dice, senza troppi giri di parole, Elena Simone, 48 anni, di Novate Milanese, mentre carica il carrello all’Emporio della Solidarietà di Garbagnate Milanese: a farle paura, più del virus, è il panico. «Da quando si è diffuso l’allarme – racconta – le signore hanno smesso di chiamarmi per i mestieri in casa. È un disastro: per me non esistono ferie, malattia, smart working. Se non lavoro, non prendo un euro. Spero che arrivino presto buone notizie e che la gente cambi atteggiamento».
 
Nel 2008, con la crisi economica, Elena ha perso il posto da impiegata che aveva in un’azienda di trasporti della zona. Dopo di allora si è sempre data da fare ma non ha più ritrovato un contratto. Così si è arrangiata con lavoretti saltuari. Ma ora le ansie provocate dal Coronavirus rischiano di dare alla sua vita un altro duro colpo. «Mi auguro che presto s’intravveda la luce in fondo al tunnel. Non posso assolutamente permettermi di rinunciare alle clienti», spiega mentre, prima di uscire, passa la tessera alla cassa, da dove le vengono scalati i punti che ha in dotazione per il mese, calcolati dai volontari del centro di ascolto in base al suo stato di bisogno.
 
Milano, capoluogo della regione epicentro della drammatica crisi sanitaria che sconvolge l’Italia (e buon parte del mondo), da febbraio subisce le spallate del contagio. Ma la solidarietà a tre settimane dall’esplosione della crisi ancora resiste, anche se è costretta a stringere i denti. Nei giorni dell’emergenza, il mimi-market solidale della Caritas Ambrosiana, uno degli 8 gestiti nel territorio della Diocesi, non ha mai chiuso. In base alle nuove indicazioni date dall’organismo della Chiesa ambrosiana a seguito dei decreti per il contenimento del contagio, il servizio si è riorganizzato. «Non potevamo abbandonare le persone che aiutiamo proprio in questo momento difficile per tutti e a maggior ragione per i più fragili – spiega Salvatore Doria, operatore della cooperativa Intrecci, che gestisce il punto di distribuzione –. Così abbiamo tenuto aperto, ma a chi veniva abbiamo chiesto di attendere fuori il suo turno, per evitare che nel locale ci fossero troppe persone contemporaneamente. Si sono mostrati tutti molto collaborativi, e abbiamo potuto gestire la situazione».
 
Distribuzione incrementata
Adottando le stesse accortezze, l’Emporio Caritas della Barona, a sud di Milano, ha addirittura potenziato il servizio. «Con la chiusura delle scuole, i bambini non mangiano più in mensa e il fabbisogno alimentare delle famiglie è aumentato – spiega Annamaria Lodi, presidente della cooperativa Farsi Prossimo –. Così, in accordo con le Caritas parrocchiali, abbiamo incrementato la distribuzione del 30%».
 
Alle 16.30 dall’altra parte di Milano, quartiere Greco, al Refettorio Ambrosiano i volontari sono al lavoro. Tullia e Anna apparecchiano la sala da pranzo, disponendo 3 coperti per tavolo, anziché 8. Per consentire alle persone di rispettare tra loro la distanza di un metro, raccomandata dalle autorità sanitarie, alla mensa solidale Caritas hanno pensato di triplicare i turni della cena: i circa 90 ospiti entrano a gruppi di 25-30 persone alla volta. «Ci dispiace moltissimo far attendere fuori dalla porta chi se la passa già molto male e in questi giorni soffre disagi ancora maggiori. Ma in questo modo possiamo offrire a tutti la cena, tutelando loro stessi e noi», spiega la responsabile, Fabrizia Ferrari.
 
Inizia a farsi sera. A poca distanza dal Refettorio, al Rifugio Caritas, il tunnel sotto i binari della Stazione Centrale trasformato in dormitorio, gli homeless entrano uno alla volta. In una stanza accanto all’infermeria, gli operatori con mascherina e guanti di lattice misurano con un termometro a infrarossi la febbre e controllano che nessuno abbia gola arrossata o tosse. In questo caso, come da indicazioni del ministero della Salute, sanno che devono chiamare il pronto soccorso per ulteriori accertamenti. Hanno anche attrezzato un posto letto separato dagli altri, nel caso fosse necessario mettere in isolamento qualcuno. Alla fine della serata, entreranno in 53 e tutti potranno prendere posto nelle stanze, dove si sta in quattro.
 
«Ci sembra surreale dover accogliere i nostri ospiti indossando una mascherina ma questi sono i tempi – allarga le braccia Vincenzo Gravina, responsabile della struttura –. Grazie a due medici volontari della Croce Rossa, un’infermiera e ai nostri 4 educatori, che sono stati istruiti velocemente, abbiamo allestito un filtro sanitario a tutela di tutti. Andiamo avanti: la cosa importante è non chiudere. Perché per queste persone sarebbe ancora peggio».
 
Insomma, fuori dai riflettori, dentro la crisi sanitaria provocata dalla pandemia, si sta facendo largo anche una nuova emergenza. Ne è convinto il direttore della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti. «Esiste già un secondo fronte: accanto a quello sanitario ce n’è uno sociale. In questa seconda trincea sono impegnati volontari e operatori che si stanno dando un gran daffare con pochi mezzi per assistere quella fascia di popolazione più emarginata e più esposta agli effetti collaterali dei, pur giusti e doverosi, provvedimenti anti-contagio: dai senza tetto che non hanno una casa dove aspettare che il virus passi, alle badanti e alle colf assunte in nero che non possono lavorare né mettersi in malattia. Ma presto arriveranno ai nostri centri di ascolto tutte le persone che non potranno usufruire delle misure di protezione che il governo si appresta a mettere in campo, dalla cassa integrazione in deroga ai congedi familiari. Finora se n’è parlato poco, ma saranno loro a pagare il costo più salato a questa crisi».
 
Francesco Chiavarini