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Lunedì 20 Aprile 2020
Lodi, dove tutto cominciò: «Impariamo l’umiltà»   versione testuale
25 marzo 2020

A osservarla dal finestrino del treno che da Lodi va verso l’Emilia, la Bassa padana è un lungo piano sequenza di capannoni, stalle e campi arati. Una terra generosa dove da sempre si produce e lavora. Proprio questo territorio è diventato la porta di accesso dell’epidemia da Coronavirus che sta paralizzando l’Italia intera. Qui la malapianta del Covid 19 ha messo radici e ha trovato la via per diffondersi, prima in Lombardia e poi nel resto del paese. Di Codogno è il paziente numero uno, Mattia, 38enne, manager dell’Unilever, sopravvissuto alla malattia dopo un mese di lotta. All’ospedale di Codogno lavora la giovane anestesista, sua coetanea, Annalisa Malara, che a dispetto del protocollo il 20 febbraio ha deciso di sottoporlo al tampone, scoprendo così che quella strana polmonite era dovuta proprio al virus. Ed è qui che la vita di un’itera comunità è stata sospesa.

Nel Lodigiano, 10 comuni hanno sperimentato per primi le misure più severe. Per 14 giorni, dal 24 febbraio all’8 marzo, nella zona rossa tutto è stato bloccato. Chiusi scuole, aziende, uffici. Libertà di movimento delle persone ridotta al minimo. Si poteva uscire da casa solo per fare la spesa o andare in farmacia. Quel periodo è passato, ma l’epidemia non è stata archiviata perché nel frattempo si è infettato il resto del paese, e per frenare la corsa del virus le autorità sanitarie hanno esteso restrizioni solo un po’ più tenui a tutto il territorio nazionale.

Colpita anche la solidarietà

A essere colpita al cuore è stata anche la macchina della solidarietà. Nella triste contabilità delle vittime sviluppata in queste settimane terribili, bisogna annoverare anche tanti volontari. Poco dopo metà marzo si è spento Gianni Ghessa, 75 anni, ex maresciallo dei Carabinieri di Codogno, che da quando era andato in pensione si dava da fare al centro di ascolto di Lodi. Risultato positivo al test, era stato ricoverato e intubato. Non ce l’ha fatta: l’infezione ha preso il sopravvento. «Era un tipo energico, la sua autorevolezza era riconosciuta da tutti, ma soprattutto sapeva farsi amare», lo ricorda il direttore della Caritas di Lodi, Carlo Bosatra, senza riuscire a trattenere la commozione al telefono.

In questa battaglia infinita, ognuno ha i suoi caduti. Ma c’è anche chi, semplicemente, ha dovuto alzare bandiera bianca. Tante persone non meno generose. «I più anziani, che rappresentano lo zoccolo duro dei nostri collaboratori, sono a casa. Per loro è troppo pericoloso stare a contatto con gli altri. Alla mensa dei poveri, ad esempio, su 150 volontari ne sono rimasti 15».

Eppure, nonostante questo, l’aiuto alle persone più in difficoltà non è venuto meno, nemmeno nei giorni più difficili. A Casalpusterlengo l’Emporio della Solidarietà, il supermercato sociale dove si fa la spesa con la tessera a punti rilasciata dalla Caritas, non ha mai chiuso, anche quando il comune è stato isolato. «Quando è stata creata la zona rossa abbiamo avuto immediatamente due problemi: poiché il magazzino si trova a Lodi, quindi al di fuori dell’area off limits, non sapevamo come far arrivare i rifornimenti giornalieri al punto di distribuzione. Inoltre, i volontari che ci aiutavano a farlo funzionare non potevano uscire di casa. Così anche noi abbiamo dovuto farci aiutare – spiega Bosatra –. Grazie alla Croce Rossa, che aveva l’autorizzazione per superare i posti di blocco, e alla Protezione civile, che era attrezzata con guanti e mascherine, siano riusciti a garantire il servizio. Viviamo in piccole città, ci conosciamo tutti, a volte basta un giro di telefonate per risolvere i problemi…».

Homeless, piange il cuore

Le abitudini di vita di comuni tutto sommato piccoli, dove c’è ancora chi abita nei pressi del luogo di lavoro, hanno giovato anche nel caso dei due centri di accoglienza per richiedenti asilo di Codogno e Casalpusterlengo: due appartamenti, uno di proprietà della parrocchia e l’altro preso in affitto da un privato, che ospitano complessivamente una dozzina di persone. Fortunatamente, risiedendo negli stessi comuni, i due operatori incaricati della gestione non hanno mai fatto venire meno la loro presenza e hanno potuto spiegare da subito agli immigrati quello che stava accadendo.

«Hanno fatto e continuano a fare un lavoro prezioso e anche molto delicato – sottolinea il direttore – perché i rifugiati sono tra le persone più disorientate in questi giorni, come è anche comprensibile che sia. Qualcuno non conosce ancora bene la lingua, qualcun altro, specie i più giovani, sottovaluta il problema: sono convinti che non li riguardi, quindi convincerli a rispettare le regole è molto difficile. È una grande prova che stiamo affrontando con senso di responsabilità».

Pur in una condizione di grave emergenza, a Lodi (appena fuori dal focolaio dell’infezione) la gestione dei servizi è stata, se così si può dire, un po’ meno complicata, se non altro perché non sono state mai applicate le rigide restrizioni che sono state imposte nell’epicentro del contagio. Nel capoluogo, tra i tanti nodi difficili da sciogliere, resta irrisolta la questione dei senzatetto.

L’ospitalità durante la notte è garantita da tre dormitori: due comunali, uno della Caritas. Nessuna di queste strutture ha chiuso. Tuttavia, per evitare un sovraffollamento che in altre circostanze sarebbe stato tollerabile, non è stato possibile applicare il piano freddo e aumentare la disponibilità di posti. Per di più, per comprensibili ragioni, in un momento così particolare, gli homeless non possono più passare la notte nella hall dell’Ospedale Maggiore, che è sempre stato informalmente il rifugio per una parte di loro. «Stanno accampati per strada, stesi sui materassi. Qualcuno dice che è meglio che stiano lì, piuttosto che in un luogo chiuso, dove esporrebbero se stessi e gli altri al contagio. Sarà, ma a me piange il cuore vederli in quelle condizioni e non riuscire a dar loro una mano…», ammette Bosatra.

Tuttavia non ci si perde d’animo e si guarda al futuro con speranza. «Pensare agli altri aiuta a non concentrarsi troppo su noi stessi e non farsi sopraffare dall’angoscia. Cerchiamo di cogliere gli aspetti positivi: anche come organizzazione stiamo imparando l’umiltà e la collaborazione. Se faremo tesoro di questi giorni, ne usciremo rinnovati», conclude il direttore della Caritas di Lodi.


Francesco Chiavarini