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Lunedì 20 Aprile 2020
Modena, il Caffè che supera la distanza   versione testuale
26 marzo 2020

C’è un gesto che è simbolo di accoglienza nelle case italiane. Che vuol dire intimità, vicinanza. Proprio ciò che in questo periodo non ci possiamo permettere: mettere la moka sul fuoco e offrire il caffè.
Non lo possono bere vicini, il caffè, nemmeno i 9 ospiti senza dimora del centro di accoglienza “Papa Francesco” di Modena. Però, ogni giorno, dopo pranzo si incontrano nel grande salone del centro diurno, a rigorosa distanza di almeno un metro e mezzo l’uno dall’altro, con un caffè davanti e il tempo di raccontarsi qualcosa di sé e delle proprie giornate, in questo tempo così strano.
L’idea di organizzare questo “Caffè virale” è venuta a Federico Valenzano, vicedirettore della Caritas modenese, che non ha caso ha scelto una moka come simbolo di questa iniziativa dedicata ai “suoi” ospiti. «Non sono persone a cui è semplice far comprendere la situazione – racconta Valenzano –. Tre di loro sono abitualmente seguiti da uno psicoterapeuta, qualcuno fino a poco tempo fa era abituato a vivere in strada: hanno una percezione del rischio e della realtà differente dalla norma. Non sempre so dove vanno e ogni contatto è potenzialmente devastante per la comunità. Non la posso chiudere, ma bisogna stare molto attenti con le precauzioni…».
Trovare un modo per non abbandonarli, e per poter condividere pensieri, emozioni e difficoltà diventa importante. Così come la moka, è sempre un oggetto a dare il via alle chiacchiere. Ogni giorno un ospite porta un oggetto e spiega la sua scelta, raccontando cosa rappresenta per lui. Gli altri, seguendo il suo filo, aggiungono le proprie emozioni e riflessioni. «Uno dei primi oggetti portati è stato il telefonino – racconta Valenzano –, perché in questo periodo è il mezzo che ci permette di stare in contatto, in qualche modo di restare vicini, con gli altri. Gli ospiti hanno trovato il modo di raccontare le loro solitudini, le amarezze, la preoccupazione».
 
Lycia e la goccia luminosa
Il caffè virale, in uno stanzone che sembra disperdere i pochi occupanti, diventa il luogo dove poter scaricare le ansie taciute e creare fili di empatia. Ma è stato un piccolo miracolo di solidarietà anche il caffè di Lycia e Senabou, due ragazze seguite dalla Caritas di Modena.
Senabou è una giovane senegalese accolta in uno degli appartamenti della Caritas. «Una donna molto dolce, con una grande cultura», la descrive Francesco. Fin dai primi giorni dell’emergenza, appena scoppiato il caso di Codogno, lei si è chiusa in casa in autoisolamento, perché sta già combattendo contro un tumore e non poteva certo permettersi nessun contatto sbagliato.
Lycia, invece, è una ragazza rom e ha una storia diversa, ma altrettanto pesante alle spalle. «L’abbiamo conosciuta l’anno scorso quando mendicava davanti alla Caritas. Siamo riusciti a creare un rapporto con lei, però, solo quando il marito è stato arrestato e lei si è decisa a chiedere aiuto – ricorda Valenzano –. Le prime volte ha mangiato con noi, poi pian piano l’abbiamo portata dal dentista, aiutata a fare il passaporto. Dall’inizio di marzo vive in una delle nostre case. Abbiamo scoperto il suo talento in cucina con la nostra cuoca: è molto attenta, pulita, precisa».
E così alla piccola Lycia è venuto in mente di preparare un termos di caffè, infilare guanti e mascherina, passare a fare la spesa e portarla a Senabou. «Forse è stata solo una goccia in questo mare di sconforto e solitudine, ma le loro due ore passate a chiacchierare (a distanza di sicurezza) sono state una goccia luminosa».
 
Psicologo dell’emergenza
Sempre alla casa di accoglienza “Papa Francesco”, poi, hanno inventato i viaggi letterari. «Uno dei nostri ospiti ha una grande passione per la letteratura, e questo ci ha dato lo spunto. Sempre a turno, qualcuno propone un romanzo o un brano, dà un titolo e racconta qualcosa della propria vita. Partecipiamo tutti alla pari, e questa è anche una rottura dei ruoli (perché loro scoprono anche qualcosa di mio), che ci sta permettendo di costruire legami forti».
Per organizzare queste attività di reazione e supporto operatori e ospiti della sono stati aiutati da uno psicologo dell’emergenza, che sta supportando il team Caritas anche nella possibilità di formare gli operatori a gestire i colloqui telefonici con le persone bisognose di aiuto, «che siano griglie che guidano la conversazione, o altri strumenti di gestione della crisi e delle difficoltà anche emotive e psicologiche degli utenti. Ma questa collaborazione offre anche la possibilità di avere luoghi di rielaborazione per chi fa il lavoro di aiuto. Perché noi dobbiamo continuare a gestire e a dare speranza».
 
Marta Zanella