Home Page » Attivita' » Progetti » Italia » Emergenza COVID-19 » L'impegno Caritas » Nei territori » Treviso e le domande inedite: «Siamo tutti in periferia» 
Treviso e le domande inedite: «Siamo tutti in periferia»   versione testuale
27 marzo 2020

Dici Treviso, guardi una persona senza dimora e pensi ai sindaci-sceriffo. «In città da tempo si registra un interesse molto scarso nei confronti delle persone senza dimora» conferma amaro don Davide Schiavon, direttore della Caritas Tarvisina. Nei primi giorni dell’emergenza Coronavirus, alcuni homeless in città, i pochi che la popolano nelle ore ancora fredde della notte, sono stati multati. «Abbiamo fatto un lavoro di advocacy, potenziato le strutture dell’accoglienza, accolto per la cena anche gli irriducibili che non intendono dormire nelle nostre strutture, in una parte riservata loro della Casa della Carità. E nelle ultime settimane l’amministrazione comunale ha aperto un centro diurno per chi non ha una casa dove stare».
L’esempio, a volte, vale più di mille proclami. «Nella Casa della Carità, dove ha sede la Caritas – prosegue don Schiavon – ospitiamo uomini e donne per la notte e per la cena. Al tempo del Coronavirus abbiamo consentito di poter restare, nel rispetto delle norme igieniche e sanitarie, tutto il giorno all’interno della struttura. Oggi abbiamo 18 uomini e 2 donne che vivono qui. Una dozzina invece sono le persone che vengono da noi per la cena. E per chi sta fuori stiamo approntando anche un servizio docce in una parrocchia della città».
A chi ancora, nonostante tutto, rimane in strada, Caritas, grazie all’aiuto di alcuni sacerdoti, garantisce una piccola rete di sostegno.
 
Quelli che non studiano
Oltre i poveri estremi, c’è un ampio panorama di fragilità sociali. «In questo tempo segnato dall’emergenza – chiarisce il direttore – ci siamo accorti che le fasce della popolazione che chiedono aiuto hanno volti diversi, a volte inediti. Nella zona di Treviso sono rimaste, per esempio, molte famiglie che lavorano con i loro spettacoli viaggianti: giostrai, circensi. Molti di loro sono italiani di origine Sinti. Parliamo di una settantina di nuclei familiari, quindi di un numero consistente di persone. Chiedono aiuti sotto forma di generi alimentari. La rete Caritas sta rispondendo anche alle loro richieste. E poi, proprio negli ultimi giorni, e questo devo dire mi ha colpito molto, ho ricevuto alcune chiamate di prostitute e transessuali in situazione di grande difficoltà. Ecco, sto raccogliendo le loro domande, i loro dubbi. E penso a nuovi percorsi, anche per chi vive una situazione così particolare».
L’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova anche le famiglie. Soprattutto quelle costrette a vivere in spazi angusti, o quelle con minori, che non riescono per tanti motivi a rispondere neppure alle esigenze di natura scolastica. «Molti bambini, molti di famiglie straniere residenti da tempo nel nostro territorio, non hanno gli strumenti per poter seguire online le lezioni della scuola, per studiare a distanza. Anche a loro stiamo pensando. E quando questa emergenza sarà finita, metteremo in campo alcune azioni per rispondere a queste difficoltà: recuperi, doposcuola nelle parrocchie. Infine, non posso non sottolineare come, in alcuni casi, dove spesso erano già esistenti, sono aumentati i casi di violenza all’interno delle mura di casa».
 
Non è più tempo di individualismo
Saranno pesanti le ricadute della crisi sanitaria, sia sul piano economico, sia sul piano dell’occupazione, sia sul piano delle relazioni tra le persone. Cosa ci lascerà questo tempo, don Davide? «C’è stato il tempo della grande crisi economica del 2008, poi c’è stato il tempo delle migrazioni forzate, poi quello della crisi ambientale. Su queste tre grandi emergenze ci abbiamo capito molto poco. Oggi è ancora più complesso, perché questa situazione ha toccato le nostre vite nel profondo. E non sappiamo quanto tempo ci vorrà per rimarginare le ferite. Allora raccogliamo le grandi domande che questa emergenza ci lascerà. Dovremo pensare di più alla sobrietà, all’essenziale. A una vita che non è scintillio di fuochi di artificio, ma è fatta di semplicità. Cambiare il nostro stile di vita diventerà possibile e necessario. Abbiamo un’opportunità grande davanti a noi. Dobbiamo accettare le difficoltà per superarle e ripartire in maniera differente. Se invece le anestetizzeremo, ecco, tutto tornerà come prima. E alla prossima difficoltà, cadremo di nuovo. Come dice papa Francesco: il nostro sguardo sia sulle periferie. E noi viviamo oggi, in questo tempo, tutti, in una periferia. È tempo di cambiare registro, nel rispetto delle fatiche e delle paure della gente. Ripartire, rinascere, guardando all’uomo in quanto tale. Questo ci lascerà in eredità questa stagione di estreme difficoltà. L’individualismo ha lavorato a lungo sotto traccia. È tempo di cambiare registro».
 
Stefano Lampertico