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Le relazioni vanno curate sempre. Anche a distanza   versione testuale
6 aprile 2020

«La nostra missione? Stare nelle case. Dalle quali ora siamo dovuti allontanare. Ma essere Caritas, in questo momento storico, significa non poter chiudere. Ci siamo adattati, ci siamo riconvertiti. Molti meno accessi fisici, ma relazioni che tengono anche a distanza. E incrociano anche nuovi beneficiari».
Luca Murdocca è il coordinatore, per la Caritas diocesana di Roma, del servizio “Aiuto alla persona”. Che in tempi non pandemici raggiungeva a domicilio ogni settimana circa 220-230 persone. «Minimo comun denominatore dei nostri utenti storici? La solitudine» sintetizza Murdocca. La solitudine: filo spinato che lega condizioni umane anche profondamente differenti (molti anziani isolati nel formicaio metropolitano, soggetti Hiv positivi, “barboni domestici”…), ma che finiscono tutte per rintanarsi nella prigione di un alloggio defilato, magari mal curato, e più ancora in un desolante vuoto di relazioni.
«E allora – chiarisce Murdocca – il nostro lavoro ha sì obiettivi di aiuto materiale, ma ha una natura specificamente relazionale. Entriamo nelle case, con ogni utente condividiamo un tempo significativo, almeno due ore a settimana di vicinanza intensa, anche fisica. Esattamente quello che, da metà marzo in poi, a causa del virus, non abbiamo più potuto permetterci». Così gli operatori e i volontari del servizio hanno dovuto riflettere: come essere servizio di prossimità, in tempi in cui tutti devono ritirarsi?
 
Una voce, un punto di riferimento
La soluzione l’hanno trovata riadattando il servizio, e aprendolo potenzialmente a tutti i cittadini. Perché intanto, ai tempi della pandemia, la solitudine ha scalato gerarchie, nella graduatoria delle condizioni umane in ambito urbano. «I nostri 20 operatori e 60 volontari si alternano nell’effettuare telefonate in uscita, almeno 2-3 a settimana, se non tutti i giorni, agli anziani e alle persone sole che seguivamo prima. E ad altri individui in solitudine e impossibilitati a uscire di casa (sempre anziani, ma anche adulti immunodepressi, single in isolamento e senza reti sociali): nella seconda metà di marzo, attraverso diversi canali, ne abbiamo intercettati 75».
Il dialogo che avviene via cavo non è certo quello che era possibile svolgere varcando la soglia dell’alloggio. Per una persona totalmente sola, soprattutto se vecchia, non è che la quotidianità sia cambiata molto, rispetto all’era pre-pandemica. Occorre dunque anzitutto spiegare esattamente cosa succede, e che le limitazioni riguardano tutti. «Ma il solo fatto che una voce si faccia presente costituisce un punto di riferimento, che vale la pena di essere atteso, come lo erano agli inizi le manifestazioni sui balconi, in giornate che altrimenti sprofonderebbero nel totale appiattimento».
E comunque l’accesso in abitazione non è stato del tutto abbandonato. Ad alcune persone viene portata la spesa a casa; 20-25 degli utenti storici, per vari motivi non contattabili telefonicamente, vengono raggiunti con visite veloci, naturalmente “bardate” di tutte le precauzioni imposte dal clima di epidemia, giusto per non spezzare fili di relazione tanto difficoltosamente imbastiti.
La morale della favola nera che stiamo vivendo, secondo Murdocca, non è detto però che debba rivelarsi totalmente negativa. «Da questa tragedia l’intelligenza collettiva della nostra società dovrebbe, e mi auguro potrà guadagnare la consapevolezza che le relazioni non vanno mai date per scontate». Come dire: oggi ci sentiamo tutti fragili, e cerchiamo sponde psichiche ed emotive. Ricordiamocene, quando sarà tornato il tempo della piena salute e della piena efficienza: le relazioni vanno curate e coltivate, sempre. Anzitutto con chi è ai margini. 
 
Paolo Brivio