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Marche: chi aiuta si aiuta. Per cambiare   versione testuale
16 aprile 2020

La finestra maggiore, formato schermo. E le finestrelle interne, da cui si affacciano decine di volti. Assorti, concentrati, partecipi. Sovente giovani. Istantanee di Caritas regionale ai tempi del Coronavirus: videoconferenze di oltre un’ora, il martedì e il giovedì con l’introduzione di un relatore su temi prefissati, il venerdì centrate su un confronto orizzontale tra i partecipanti. La formula evidentemente funziona. Sennò non avrebbe inanellato dieci incontri tra il 24 marzo e la metà di aprile. Con altri 7 in programma entro fine mese. E la volontà di spingersi sino a fine maggio.
Quando, a inizio marzo, l’Italia si è calata nell’immobilità del lockdown, la delegazione regionale Caritas delle Marche ha cominciato a capire che non si sarebbero dovute cambiare soltanto le modalità di intervento a favore dei tanti cittadini che si rivolgono ai centri d’ascolto, che bussano ai servizi, che fruiscono delle accoglienze. «Nelle prime due settimane – riepiloga Sonia Sdrubolini, operatrice della delegazione regionale – ci siamo confrontati con le realtà diocesane più colpite dall’epidemia, Pesaro, Urbino, Fano. E ben presto è emerso che l’emergenza imponeva di prendersi cura anche dei volontari». Di quelli che, over 65, sono stati costretti a sospendere il proprio servizio. Di quelli che, rimasti attivi, dovevano fronteggiare nuove sfide, organizzative, emotive, di sicurezza. Dei giovani che si sono messi a disposizione, anche solo per uno spezzone di servizio.
È nato da questa evidenza “AiutachiAiuta”, percorso di formazione on line aperto a dirigenti, operatori e volontari delle Caritas diocesane e parrocchiali dell’intera regione, i cui contenuti sono reperibili attraverso un canale Youtube e raccolti nell’omonimo sito internet, creato ad hoc. La partecipazione agli incontri non prevede selezioni, la fruizione delle videoconferenze registrate e dei materiali utilizzati è altrettanto libera. La logica dell’originale itinerario di formazione è quella della condivisione – di conoscenze, esperienze e stati d’animo –, in presa diretta con una realtà capovolta, anche nei piccoli centri di provincia, pure sul fronte della pastorale, della solidarietà e dei servizi caritativi, oltre che naturalmente sui versanti della sanità, dell’economia, del lavoro, dei menage personali e famigliari.
 
Accompagnare la ripartenza
Il primo ciclo di incontri di “AiutachiAiuta” ha messo a fuoco alcune buone prassi diocesane in tema di servizi, il tema nuovo dell’ascolto al telefono (non più in presenza), i contenuti delle nuove norme di legge e il loro impatto sul sistema del welfare e della solidarietà, i cambiamenti nella rilevazione dei bisogni sociali, la rielaborazione del lutto, i nuovi criteri di sicurezza nei luoghi di lavoro e di servizio. Altri argomenti di estrema attualità seguiranno, anche con il contributo di colleghi di altre diocesi d’Italia, legati alla Comunità professionale dei formatori Caritas, interessati a capire le dinamiche e la riproducibilità del percorso marchigiano. «Ma al di là della ricchezza e dell’attualità dei temi – osserva Sdrubolini –, e dell’ampia partecipazione all’iniziativa (anche oltre 40 persone a ogni incontro), ci soddisfa l’orizzontalità dello scambio, che mette di fronte gli uni agli altri, senza gerarchie prestabilite, direttori diocesani, operatori esperti, volontari dei servizi e anche dei centri d’ascolto più periferici». Un metodo innovativo per mantenere strette, in epoca di distanze invalicabili, le maglie di una rete territoriale che non può permettersi di far sentire isolati i suoi nodi più remoti e fragili.
Terminato aprile, il percorso si pone un ulteriore, ambizioso traguardo: accompagnare la “riapertura”, anche dell’azione Caritas, con un discernimento che produca scelte coordinate tra i vari territori, o quantomeno ispirate da conoscenze ed esperienze condivise. «I nostri incontri – sintetizza Sdrubolini – stanno facendo emergere una percezione e una consapevolezza diffuse: la ripartenza non può essere un ritorno a prassi consuete, ma la capacità di cambiamento, di fronte a un tessuto e a bisogni sociali profondamente cambiati, dovrà pervadere anche le realtà più minute. Tra i volontari è ancora forte e diffuso uno stato d’animo di paura, ma un’esperienza di condivisione come la nostra fa sì che esso non sia bloccante. La paura di oggi (l’avevamo già sperimentato ai tempi del terremoto) può essere orientata verso una dimensione di crescita. Non esclude la capacità e la voglia di osare: sappiamo che non torneremo come prima, e stiamo imparando che un’autentica reciprocità può aiutarci a sostenere le sfide enormi che la crisi di oggi pone anche a noi operatori e volontari, alle nostre Caritas, alle nostre comunità».
 
Paolo Brivio