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Le risposte del grande cuore di Reggio Emilia   versione testuale
17 aprile 2020

Il cuore grande di Reggio Emilia continua a battere. Forte. Anche e soprattutto in tempi di pandemia. «Reggio Emilia ha sempre avuto un tessuto sociale fatto a maglie strette, ma oggi la risposta del territorio è ancora più generosa – esordisce il direttore della Caritas diocesana, Isacco Rinaldi –. Prima dell’emergenza in diocesi potevamo contare su tre mense che aprivamo in modo alternato: una gestita da Caritas, una dai Cappuccini e la cosiddetta “mensa del Vescovo”. Dato che le altre due strutture sono troppo piccole per garantire le distanze di sicurezza, abbiamo lasciato aperta solo quella di Caritas, unendo però le forze e utilizzando i volontari attivi in tutti i servizi per garantire circa 400 pasti al giorno. Pasti che vengono distribuiti ai senza dimora, ma anche consegnati alle strutture che, prima dell'emergenza, erano aperte solo la notte e ora accolgono i propri ospiti in maniera continuativa».

Anche a Reggio Emilia, come in buona parte del paese, appena è scoppiata l’emergenza Covid19 è venuta a mancare una fascia fondamentale di volontari, quella compresa tra i 64 e i 75 anni. Tra loro anche i cuochi della mensa Caritas. Per fortuna è intervenuta la Protezione Civile, che ha garantito la presenza di tre cuochi per la preparazione di pranzi e cene. «Subito – prosegue Rinaldi – ci siamo comunque attivati a livello diocesano per cercare nuovi volontari. La risposta del territorio è stata eccezionale: abbiamo avuto così tante offerte di disponibilità che ad oggi ne utilizziamo non più del 30%. Caritas ha da sempre profonde relazioni con un territorio in cui la cultura del servizio e del prendersi cura delle persone è molto radicata. Così, anche sul fronte delle risorse abbiamo raccolto 100 mila euro da destinare alla copertura dei costi di servizio».

In mensa sono attivi 30-40 volontari, divisi su due turni blindati (cioè che non si incrociano mai, altrimenti nel caso di positività di un solo volontario il servizio si fermerebbe): preparano 120-130 porzioni da asporto e quelle da consegnare alle strutture. Per motivi di sicurezza sono stati anche ampliati gli orari di distribuzione; le persone possono presentarsi, con tutta la calma e la prudenza del caso, dalle 10.30 alle 13.

Convivenza e dipendenza

La Caritas diocesana si è mossa poi per supportare le parrocchie che non riescono a soddisfare tutte le richieste di aiuto. «Insieme al locale Centro servizi per il volontariato – spiega Rinaldi – abbiamo attivato un magazzino provinciale per sostenere le realtà parrocchiali nel garantire aiuti alimentari alle famiglie. Abbiamo scelto di rispondere a tutte le richieste di aiuto; solo a Reggio città garantiamo un pacco alimentare a 650 famiglie, ovvero il 30-40% in più rispetto a prima. Nel contempo, abbiamo attivato anche un sistema di ascolto, per capire chi può usufruire di altri aiuti, governativi o regionali».

Uno dei progetti più interessanti, su cui in Caritas si ragiona già rispetto a possibili sviluppi futuri, è legato all’accoglienza di persone senza dimora e in difficoltà. «Tutti gli anni affianchiamo ai servizi già presenti un “progetto di accoglienza invernale”: 40-50 posti letto aggiuntivi, ospitati in locali parrocchiali, gestiti da alcune famiglie di volontari. Appena scattato il blocco è apparso evidente come non fosse accettabile mandare le persone per strada. Abbiamo perciò pensato di proporre alle parrocchie e agli ospiti di vivere tutto il periodo dentro le strutture. Insieme. Creando una sorta di comunità allargata, con tutti i pregi e con tutti i problemi che una convivenza tra persone molto diverse può generare».

Così alcune parrocchie si sono organizzate in proprio e alcune famiglie si sono attivate, garantendo microaccoglienze da 2 a 6 persone. In queste strutture, oltre a garantire il cibo, la presenza costante delle persone sta generando rapporti molto profondi che, si spera, possano poi generare, una volta terminata l’emergenza, nuove opportunità. L’appello alla solidarietà ha funzionato anche per la struttura più grande, dove si prevede una convivenza con 13 persone, alcune delle quali con problemi di dipendenza: due giovani hanno risposto all’appello con entusiasmo. Nonostante le difficili premesse iniziali il progetto sta andando molto bene. Le relazioni che si stanno creando sono importanti, soprattutto per gli ospiti, non abituati a essere considerati parte di qualcosa». 

Quarantena volontaria

Un’esperienza similare, sempre a Reggio Emilia, è iniziata in alcune “Case della carità”, che accolgono persone con handicap o anziani soli, dove solitamente operano suore e volontari. «Anche per quelle strutture abbiamo trovato volontari che hanno scelto di chiudersi in quarantena (nel frattempo il virus aveva infettato alcuni residenti) insieme alle suore e agli ospiti. Segni di chiesa che si mette al servizio dei più piccoli e bisognosi – dice Rinaldi –. E che meritano di essere raccontati».

Le nuove modalità di servizio stanno anche interrogando la Caritas su come dovrà cambiare il proprio modo di fare carità in futuro: «Dall’ascolto e dalla vicinanza con le persone arrivano indicazioni e stimoli importanti, dal punto di vista sia pratico che simbolico. Come le 50 mila mascherine che ci sono arrivate dalla Cina tramite un prete cinese che opera qui con noi, al servizio dell’importante comunità sino-reggiana, e che ci hanno mostrato come basta davvero poco per dover dipendere dagli altri». E un fronte di impegno e di novità sarà rappresentato anche dal Fondo diocesano in previsione della ripartenza, lanciato dal vescovo. «L’idea è sostenere le imprese che riaprono e coprire i costi di tirocini per chi è rimasto senza lavoro».

Così, nonostante stia ancora aspettando gli esiti del tampone («sono positivo al Covid, spero ancora per poco, ma sto bene») e le non poche sfide che lo attendono in futuro, Rinaldi resta ottimista: «In queste settimane ho assistito a tantissimi atti di condivisione e visto così tante aperture di cuore, che non posso evitare di credere nel mio prossimo e nella sua capacità di fare del bene. Tantissimi gesti, anche piccoli o piccolissimi, mi hanno fatto capire che un futuro diverso, più attento alle persone, è davvero possibile». 

 

Ettore Sutti