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Aversa: lo sfruttamento continua, il contrasto pure   versione testuale
18 aprile 2020

Nella diocesi di Aversa, provincia di Caserta, niente si è fermato con il Covid 19. Anzi, alcuni servizi hanno incrementato la risposta, perché la domanda nel frattempo è aumentata. «Certo, abbiamo ridotto i volontari – esordisce il direttore della Caritas diocesana, don Carmine Schiavone –, ma loro non avrebbero voluto. Però i numeri ce lo imponevano. Altrimenti saremmo stati multati per assembramento... Noi infatti storicamente siamo ricchi di volontari, anche moltissimi giovani, non solo anziani, come accade altrove. A regime sono 150 i nostri volontari, attualmente una quarantina svolgono i servizi essenziali. Facciamo i turni, lavoriamo praticamente a tempo pieno, ma non abbiamo abbandonato nessuno».
La diocesi campana conta 600 mila abitanti e i problemi “storici” sono moltissimi. A cominciare dalla piaga dello sfruttamento in agricoltura. Uno dei progetti più importanti con cui, prima della crisi sanitaria, si misuravano operatori e volontari Caritas era il “Presidio” di contrasto al caporalato, dall’assistenza alle vittime del fenomeno alla denuncia delle condizioni dei braccianti agricoli sfruttati e sottopagati.
Oggi quei braccianti non lavorano, ma hanno fame. Caritas va nelle baraccopoli a portare cibo e medicine. E ascolto. Dieci volontari e cinque operatori sono in giro quotidianamente per la diocesi, per stare accanto a chi non ha niente e vive dentro una baracca. «Il sommerso nel caporalato ha numeri altissimi. Abbiamo contato oltre 1.600 persone nel solo territorio della nostra diocesi. Questi lavoratori sono arrivati qui molto prima, poi sono stati bloccati dal coronavirus. Sono soprattutto africani. Nigeriani, uomini dal Burkina Faso, dal Senegal. Ma anche dal Bangladesh. Per loro c’è la mensa di asporto: consegniamo i pacchi viveri e il materiale igienizzante ai braccianti agricoli nelle baracche. E naturalmente a tutti quelli che ne fanno richiesta perché impossibilitati a muoversi: per esempio le persone in quarantena, gli anziani, i malati cronici, i disabili. Sforniamo 250 pasti al giorno».
 
Bisogni alimentari quasi raddoppiati
Un altro servizio importante, in queste settimane di emergenza, è rivolto alle famiglie: circa 1.440 nuclei familiari del territorio richiedono oggi il pacco viveri consegnato dalla Caritas; il coronavirus ha causato un forte incremento della richiesta, prima della crisi erano circa 800 le famiglie che fruivano degli aiuti.
Un progetto che non si è fermato e che continua incredibilmente a far registrare forti domande riguarda il contrasto della tratta. «Da molti anni cerchiamo di agganciare e aiutare le ragazze avviate alla prostituzione, portando sollievo, cibo, ascolto, tentando di convincerle ad abbandonare la strada. Sono tutte nigeriane. Ragazze giovani: tutte ancora al loro posto. Con le mascherine, sembra incredibile: ma è così – racconta sconsolato don Carmine –. La domanda è ancora alta. Nel territorio ci sono almeno 7 postazioni, con 2 ragazze in ognuna».
Nella struttura di accoglienza della Caritas diocesana attualmente ci sono 36 persone senza dimora. «Erano persone “in” strada: dormivano in stazione, o in altri luoghi della città. Quando la polizia municipale ha cominciato i controlli in strada, abbiamo collaborato con il comune e li abbiamo accolti. Sono italiani, per la maggior parte, di tutte le età, ma anche stranieri. Molti hanno problematiche serie, a cominciare dalla dipendenza da droga o alcol. Quando abbiamo deciso di accoglierli, eravamo molto preoccupati. Pensavamo che la gestione della casa, che ha molte stanze da due, tre ospiti, o anche camere singole, sarebbe stata molto difficile. Ma il Comune ci ha affiancati, con la collaborazione di Asl e Sert. E ci siamo dovuti ricredere: non c'è stato un solo caso di tumulti o litigi tra gli homeless. Cucinano insieme, dormono insieme, si è stretta una bella solidarietà: non ce l’aspettavamo neppure noi, a essere sinceri. Il più giovane di loro si chiama Kevin, è italiano, del nostro territorio, e ha 23 anni».
 
Condividono lavoro e riposo
L’ascolto, matrice identitaria dell’azione Caritas, in tempi di distanziamento è più necessario e doveroso che mai. Don Carmine ha una struttura di operatori specializzati. Sette persone – 4 psicologi, 2 avvocati, 1 operatrice sociale – che formano una piccola task force, che copre i bisogni di ascolto di tipo psicologico, ma anche legale e relativo alla violenza sulle donne. Ad Aversa c'è infatti un centro antiviolenza tutt’ora attivo. «Oggi – chiarisce il sacerdote – è assolutamente necessario. Molte famiglie stanno soffrendo, donne e bambini in misura maggiore, perché hanno in casa mariti e padri violenti, che lo diventano ancora di più a causa della reclusione forzata. Abbiamo contribuito a far arrestare un uomo che picchiava la moglie proprio pochi giorni fa».
Per far vivere lo spirito di comunità in maniera più forte, don Carmine ha proposto agli operatori e volontari che in questo periodo collaborano con la Caritas di restare – a turni di una settimana – a dormire in sede. Così ogni 7 giorni 15 persone si fermano nella “casa Caritas” e condividono insieme il tempo del lavoro e quello del riposo. «Sono fra l’altro persone che si rendono disponibili per le emergenze 24 ore su 24, nel tempo che sono qui, insieme a noi. Abbiamo capito che non basta fare rete, se questa non diventa connessione fra le persone. La connessione profonda ci permette di essere comunità. Ed è questo che vogliamo essere».
 
Daniela Palumbo