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Giovedì 26 Novembre 2015
A due mesi dall’appello di Papa Francesco e a meno di due settimane dall’apertura del Giubileo della Misericordia, Caritas Italiana lancia il progetto di accoglienza e integrazione “Rifugiato a casa mia”. Un’iniziativa concreta, anche in risposta alle inqualificabili azioni che hanno preso di mira diverse Caritas diocesane nel Nord Italia per il loro impegno accanto ai migranti, suscitando nei nostri confronti la solidarietà da parte di tanti, che ringraziamo.
Un’iniziativa che nei territori testimonia ancora una volta autentica cultura e valori umani condivisi nell’ottica del bene comune, e si auspica possa produrre scelte di responsabilità perché le nostre comunità siano laboratori di un nuovo umanesimo, fatto non di divisioni e contrapposizioni, ma di relazioni e di incontri.
Sono già oltre 170 le famiglie, 150 le parrocchie e 30 gli istituti religiosi in tutta Italia hanno aderito al progetto mettendo a disposizione circa 1.000 posti per altrettanti cittadini stranieri in difficoltà. Uomini, donne, famiglie che avranno la possibilità di trascorrere almeno 6 mesi in un contesto familiare protetto che cercherà di ridargli fiducia e speranza. Sarà dunque la famiglia il perno di questa iniziativa: anche nel caso di accoglienza in parrocchia o nell’istituto religioso, infatti, il beneficiario sarà comunque seguito da una famiglia della comunità che dovrà accompagnarlo in un percorso di integrazione che oggi, più che mai, appare la vera sfida dell’immigrazione. Si tratta di un’esperienza portata avanti nella totale gratuità in quanto i costi relativi all’accoglienza saranno interamente a carico delle famiglie e delle parrocchie. I costi finali saranno circa 6 volte inferiori a quelli ordinariamente sostenuti dalle Istituzioni per la sola accoglienza.
A tal proposito don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, ribadisce che “Rifugiato a casa mia non vuole, però, in alcun modo costituire un ulteriore sistema nazionale di accoglienza, che già esiste e nel quale stiamo operando, ma essere complementare soprattutto rispetto all’integrazione che appare ancora l’aspetto più debole”. E continua: “Oggi la Chiesa - da sempre diffusamente impegnata con azioni di prossimità verso tutte le vecchie e nuove forme di povertà, fragilità e di bisogno - vuole con questo progetto rafforzare il suo impegno accanto ai profughi attraverso la testimonianza viva delle parrocchie, delle famiglie e degli istituti religiosi che hanno deciso di aprire le porte ai più sfortunati per avviare insieme non solo un percorso di accoglienza, ma soprattutto un cammino di incontro tra culture”. Per i beneficiari sono state messe a disposizione delle risorse economiche da parte della CEI e della ACLI che serviranno per sostenere un kit per attività formative, culturali, professionalizzanti, rivolte contestualmente al beneficiario e alla famiglia che accoglie.
Un’iniziativa che nei territori testimonia ancora una volta autentica cultura e valori umani condivisi nell’ottica del bene comune, e si auspica possa produrre scelte di responsabilità perché le nostre comunità siano laboratori di un nuovo umanesimo, fatto non di divisioni e contrapposizioni, ma di relazioni e di incontri.
Sono già oltre 170 le famiglie, 150 le parrocchie e 30 gli istituti religiosi in tutta Italia hanno aderito al progetto mettendo a disposizione circa 1.000 posti per altrettanti cittadini stranieri in difficoltà. Uomini, donne, famiglie che avranno la possibilità di trascorrere almeno 6 mesi in un contesto familiare protetto che cercherà di ridargli fiducia e speranza. Sarà dunque la famiglia il perno di questa iniziativa: anche nel caso di accoglienza in parrocchia o nell’istituto religioso, infatti, il beneficiario sarà comunque seguito da una famiglia della comunità che dovrà accompagnarlo in un percorso di integrazione che oggi, più che mai, appare la vera sfida dell’immigrazione. Si tratta di un’esperienza portata avanti nella totale gratuità in quanto i costi relativi all’accoglienza saranno interamente a carico delle famiglie e delle parrocchie. I costi finali saranno circa 6 volte inferiori a quelli ordinariamente sostenuti dalle Istituzioni per la sola accoglienza.
A tal proposito don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, ribadisce che “Rifugiato a casa mia non vuole, però, in alcun modo costituire un ulteriore sistema nazionale di accoglienza, che già esiste e nel quale stiamo operando, ma essere complementare soprattutto rispetto all’integrazione che appare ancora l’aspetto più debole”. E continua: “Oggi la Chiesa - da sempre diffusamente impegnata con azioni di prossimità verso tutte le vecchie e nuove forme di povertà, fragilità e di bisogno - vuole con questo progetto rafforzare il suo impegno accanto ai profughi attraverso la testimonianza viva delle parrocchie, delle famiglie e degli istituti religiosi che hanno deciso di aprire le porte ai più sfortunati per avviare insieme non solo un percorso di accoglienza, ma soprattutto un cammino di incontro tra culture”. Per i beneficiari sono state messe a disposizione delle risorse economiche da parte della CEI e della ACLI che serviranno per sostenere un kit per attività formative, culturali, professionalizzanti, rivolte contestualmente al beneficiario e alla famiglia che accoglie.
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