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Diseguali al tempo del vaccino   versione testuale
16 giugno 2021

Con sintesi efficace e lungimiranza operativa, Papa Francesco nell’Udienza generale del 19 agosto 2020 così ha descritto il momento storico che stiamo vivendo: «La pandemia ha messo allo scoperto la difficile situazione dei poveri e la grande ineguaglianza che regna nel mondo. E il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone, ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate! La risposta alla pandemia è quindi duplice. Da un lato, è indispensabile trovare la cura per un virus piccolo ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero. Dall'altro, dobbiamo curare un grande virus, quello dell'ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli».
Ed è vero, la pandemia da Covid-19 ha creato nuove disuguaglianze e ha aumentato quelle esistenti nel mondo, a cominciare dal diritto alla salute: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha ricordato all'inizio di giugno 2021 che 9 su 10 nazioni africane mancheranno l’obiettivo di immunizzare il 10% della popolazione entro settembre. Con 32 milioni di dosi somministrate, l’Africa vale meno dell’1% dei 2,1 miliardi di dosi finora iniettate globalmente: solo 9,4 milioni (su 1,3 miliardi) di africani hanno completato la vaccinazione.
 
Lente di ingrandimento
Questi dati drammatici vanno incrociati con l'evidenza di come, già prima della pandemia, ogni giorno 10 mila persone morivano nel mondo, perché non avevano accesso a cure mediche a un costo per loro accessibile. Nei paesi in via di sviluppo un bambino di una famiglia povera ha il doppio delle possibilità di morire entro i 5 anni, rispetto a un suo coetaneo benestante. In un paese come il Kenya, un bambino di una famiglia ricca frequenterà la scuola per il doppio degli anni rispetto a un bambino proveniente da una famiglia senza mezzi.
Per effetto della pandemia, oltre che tra le nazioni, le disuguaglianze economiche, sociali e di salute sono aumentate anche tra singoli territori. Questo per causa diretta della malattia e per tutti gli effetti anche indiretti della stessa. Particolarmente gravi sono le diseguaglianze in salute, intese come sistematiche, evitabili e rilevanti disparità nello stato di salute tra differenti gruppi socioeconomici all'interno della popolazione, e come il risultato di una catena di cause che trova la sua origine nell’ingiustizia sociale presente nella struttura base della società (Donald Acheson, Indipendent iniquity into inequalities in health: report, UK Stationery Office, Londra 1997). Mai come in questo tempo l’opinione pubblica è interessata alla salute di tutta la popolazione (basti pensare ai quotidiani bollettini sulla diffusione della pandemia); nonostante ciò, anche nell’epoca Covid non sono mancate evidenti diseguaglianze proprio nell'accesso a percorsi diagnostici e terapeutici, e oggi, in tempo di vaccini, a percorsi di prevenzione. Attenti osservatori e società scientifiche segnalano come per alcune patologie, in particolare malattie croniche e degenerative, sono saltati i protocolli di follow up e di screening; ciò induce a prevedere, anche per i prossimi anni, un aumento dell’incidenza di determinate malattie, dovuto a questa "sospensione" dei percorsi. In particolare, non è difficile prevedere che ciò riguarderà soprattutto le fasce meno abbienti, cioè coloro che, per profilo culturale o per scarsità di risorse, non sono riusciti a leggere le proprie priorità di salute e a riattivare percorsi di tutela in anticipo rispetto al rallentamento del servizio pubblico.
La pandemia da Sars Cov-2 ci sta dunque mostrando, come in una lente di ingrandimento, quanto i determinanti sociali incidano sulla salute delle persone e provochino misurabili diseguaglianze in salute e nell’assistenza sanitaria (Giulia Civitelli, I determinanti sociali della salute degli immigrati. In "Salute e migrazione: ieri, oggi e il futuro immaginabile”, Pendragon, Bologna, 2020, pagine 115-118).
Questo si è visto in particolare per gli stranieri presenti nel territorio italiano, che fin da subito hanno subito un ritardo nella diagnosi dell’infezione e una maggiore gravità clinica, associata a una più alta probabilità di ospedalizzazione e di ricorso alle terapie intensive e, soprattutto nelle prime fasi della pandemia, di rischio di morte. Tali aspetti sono indici di una maggiore fragilità sociale, di una presenza di barriere nell’accesso al Servizio sanitario nazionale e di una non dimestichezza con esso (Salvatore Geraci e Mario Affronti, Immigrazione e Covid-19, in “XXIX Rapporto Immigrazione 2020. Conoscere per comprendere” di Caritas-Migrantes, Tau editrice, Todi, 2020, pagine 125-134).
 
Fuori dagli standard amministrativi
Questo rischio maggiore si è attualizzato anche in tempo di vaccini, tanto da portare diversi osservatori alla denuncia dell'esistenza di una popolazione invisibile. Ci sono persone e gruppi di popolazione esclusi dai programmi di mitigazione, di prevenzione, dai "ristori" o dalle future politiche di rilancio. Sono invisibili ma presenti. Sono tutti coloro che si collocano fuori dagli standard amministrativi, sono quelli sotto casa ma senza una casa. È possibile azzardare un calcolo di quante possano essere, in Italia, le persone, nell'ambito della "fragilità sociale", che rischiano di essere escluse se non si attivano iniziative e percorsi adeguati di inclusione
  • sono circa 500 mila, secondo l'Ismu, gli immigrati senza un permesso di soggiorno, che per accedere alle prestazioni sanitarie possono però avere il codice Stp (Straniero temporaneamente presente);
  • difficilissimi da quantificare, ma probabilmente diverse decine di migliaia, sono i migranti comunitari non in regola amministrativamente, che per l’accesso alla sanità possono richiedere la tessera Eni (Europeo non iscritto, non garantita da tutte le Regioni); 
  • poco più di 200 mila sono gli stranieri che hanno fatto domanda di regolarizzazione, nella stragrande maggioranza dei casi ancora non esaminata: queste persone si trovano in un "limbo amministrativo", non più irregolari ma non ancora riconosciuti;
  • circa 78 mila (67% in centri d'accoglienza straordinari, i Cas) sono gli immigrati accolti in strutture d'accoglienze governative e locali, spesso ancora in fase di esame della loro posizione amministrativa o con difficoltà di inserimento sociale: hanno diritto all'iscrizione al Ssn ma, soprattutto nei Cas, i percorsi amministrativi sono incerti e frammentati;
  • diverse migliaia (o decine di migliaia) sono i minori stranieri non accompagnati, le persone vittime di tratta accolte in specifiche strutture, rom, sinti e camminanti che vivono in campi di fortuna, e altre decine di migliaia le persone, italiane e straniere, presenti in insediamenti informali, ghetti, palazzi occupati; 
  • infine ci sono (ultima stima Istat-Caritas-Fio.psd, circa 50 mila) le persone senza dimora, italiane e straniere, che popolano spesso angoli anonimi delle grandi città (stazioni ferroviarie, in passato hall o giardinetti degli ospedali, parchi pubblici non chiusi di notte, tettoie non presidiate), alcune accolte in strutture organizzate o seguite da volontari direttamente sulla strada: tutti soggetti fragili socialmente e spesso vulnerabili dal punto di vista sanitario.
A questo lungo elenco è possibile accostare chi, pur con tutti i documenti in regola (tessera sanitaria e assegnazione di un medico di medicina generale) non ha le corrette informazioni sulle possibilità di prenotazione (anche semplicemente perché i portali regionali sono solo in lingua italiana).
 
Invisibili da vaccinare. Ma come?
Sono quindi diverse centinaia di migliaia di persone, con vari livelli di esclusione, “invisibili” all'amministrazione, pubblica in generale e sanitaria nello specifico: anello debole del sistema, e nel contempo misura della nostra "volontà costituzionale" di tutelare ogni persona. Dopo alcune incertezze iniziali, da più parti si è chiarito che anche questa variegata popolazione deve essere inclusa nei percorsi specifici di tutela e ha certamente diritto alla vaccinazione anti-Covid, ma ancora non ci sono indicazioni puntuali e condivise in proposito.
Il 4 febbraio 2021 la Società italiana di medicina delle migrazioni e il tavolo immigrazione e salute coordinato da Caritas Italiana hanno scritto al Ministro della Salute chiedendo di risolvere la questione; in marzo, in varie parti d'Italia, i Gris (Gruppi immigrazione e salute) e altre associazioni e reti si sono rivolti agli amministratori locali e alle aziende sanitarie territoriali; il 31 maggio 32 associazioni hanno scritto anche al Commissario straordinario per la campagna vaccinale...
Nel frattempo, tra questi “invisibili” c'è chi ha preso sul serio l'annuncio che tutti possono-devono vaccinarsi, e si è recato in farmacia per vaccinarsi. Scoprendo però che tra i "tutti" lui non figura, perché non è italiano, non ha il permesso di soggiorno, vive per strada... 
Il 3 giugno scorso il New York Times, uno dei più importanti quotidiani al mondo, ha pubblicato un articolo ("Migrants Are Forgotten in Italy’s Vaccine Drive, Doctors Say"). In cui si racconta che «ogni settimana, negli ultimi tre mesi, un immigrato croato, senzatetto, di 63 anni, si è recato a piedi in un ambulatorio vicino alla stazione Termini di Roma, sperando in notizie sulla vaccinazione contro il coronavirus. E ogni volta, i medici gli hanno detto che nonostante i suoi molteplici attacchi di cuore e una serie di condizioni critiche di salute, non erano in grado di prenotargli il vaccino. “Il mio cuore è così debole che se prendo il Covid mi porterà via di sicuro – ha detto l'uomo –. Non è giusto (...) ma vivo per strada e non posso cambiare nulla". In attesa di un appuntamento per la vaccinazione, cerca di evitare i luoghi affollati. Ma la scorsa settimana ha dovuto prendere un autobus pieno zeppo diretto al quartiere dell'Eur per un controllo cardiaco. "Ero preoccupato – ha detto – ma non posso seppellirmi vivo perché non mi vaccinano"».
Dopo varie pressioni, e in particolare a seguito della pubblica denuncia del Nyt, qualcosa si è mossa: alcune Regioni hanno individuato percorsi "individualizzati" e hanno chiesto all'associazionismo di segnalare gli esclusi ed eventualmente accompagnarli alle vaccinazioni. C'è stata qualche modifica sui portali, qualche timida indicazione operativa... . L'Istituto Superiore di Sanità ha annunciato un documento con indicazioni per i centri d'accoglienza; le associazioni sono state convocate per un confronto. In generale il dibattito nel paese è cresciuto, ma a volte con toni e slogan inappropriati: «Prima i cittadini italiani»; «Identifichiamo, vacciniamo ed espelliamo»; «Facciano i vaccini che noi non utilizziamo!».
 
Il virus dell’inidividualismo
Ci si augura che il problema dei vaccini alle persone senza dimora sia in via di superamento. Rimane l'amarezza di una politica lenta e incerta, al di là degli annunci, a cogliere la sfida del contrasto alle disuguaglianze. Che non deve essere una concessione, ma un’espressione di civiltà, prova di un reale impegno per il bene comune e per la tutela della salute di tutti. Bene che, la pandemia ce lo dovrebbe aver insegnato, è indivisibile e costituisce un diritto inalienabile di ogni persona, senza esclusioni.
Diceva Papa Francesco, nel suo Messaggio Urbi et Orbi in occasione dell’ultimo Natale: «Non possiamo neanche lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle. Non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell’amore e della salute dell’umanità. Chiedo a tutti, ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!».
 
Salvatore Geraci Area sanitaria Caritas Roma