Home Page » Attivita' » Progetti » Italia » Emergenza COVID-19 » L'impegno Caritas » In Italia » Anziani da accudire, in un contesto di relazioni 
Anziani da accudire, in un contesto di relazioni   versione testuale
1 marzo 2021

Quali lezioni ci ha impartito la pandemia da Sars-Cov-2, riguardo al tema della cura di chi vi è più esposto? Quali cambiamenti chiede alle nostre società e al nostro paese, perché assicurino agli anziani la massima protezione possibile dai rischi sanitari, e al tempo stesso qualità e dignità delle cure?
Italia Caritas intende chiederlo a chi da sempre si occupa di persone fragili, vulnerabili, croniche. Anche e soprattutto in funzione dell’età. Si comincia dall’intervento firmato da un’esponente di Uneba, la più longeva organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo, con oltre 900 enti associati in tutta Italia, quasi tutti non profit e con radici cristiane.
 
* * *
Abbiamo visto operatori impegnarsi al di là del dovuto nel loro compito di cura. Abbiamo visto operatori soffrire, in quanto si sentivano responsabili di essere stati inconsapevoli portatori dell’infezione. Abbiamo visto operatori frustrati, nell’impotenza di curare i loro anziani. Abbiamo visto operatori piangere per la morte, troppo spesso inattesa, seppur possibile.
 
Il tema delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) nell’ultimo anno è assurto agli onori della cronaca per gli eventi legati alla pandemia da Coronavirus. Molto si è detto a proposito di tali servizi. Ci sia ora permesso, come soggetti impegnati nel settore dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti, di offrire alcune considerazioni.
Le persone invecchiano e, con il progredire della medicina e del benessere, invecchiano sempre di più e meglio. Invecchiando, però, scoprono non solo i primi acciacchi, ma anche, talora, col progredire degli anni, l’insorgere di una serie di problemi legati al proprio stato di salute, ovvero la presenza di malattie che in molte persone si stabilizzano diventando croniche e, in un numero considerevole di persone, quella che possiamo chiamare “fragilità”.
La fragilità è da intendersi come la progressiva perdita di alcune abilità funzionali, ovvero la difficoltà prima, e l’incapacità poi, nel compiere le attività della vita quotidiana, fino ad arrivare a non essere più in grado di badare a se stessi anche nelle funzioni primarie, tra le quali quelle relative alla cura del sé. È a questo punto che si materializza la condizione di “non autosufficienza” e la persona necessita, quindi, di un “accudente” per poter vivere.
Oltre alla fragilità, l’avanzare dell’età porta con sé quella che possiamo chiamare la vulnerabilità, ovvero una condizione socio-relazionale per la quale la persona anziana (soprattutto i “grandi anziani”) vede progressivamente ridursi la propria rete familiare e di relazioni sociali, fino alle situazioni nelle quali appare sempre più evidente una progressiva solitudine.
Possiamo quindi affermare, e i dati lo confermano, che la condizione delle persone anziane, ancor di più quella dei “grandi anziani”, si caratterizza per un insieme di elementi racchiudibili nella seguente definizione: “All’aumentare del bisogno di accudimento che, in molti casi, diventa bisogno di protezione, corrisponde l’affievolimento delle relazioni familiari e della capacità del sistema familiare, che in molti casi fa fatica ad assicurare i sempre più complessi compiti di cura e assistenza di cui la persona anziana fragile necessita”.
 
L’utenza è cambiata
Questo scenario, con declinazioni diverse per ogni singola situazione, ha storicamente generato una serie di risposte, consistenti in servizi modulati e articolati, sia di natura sociale che sociosanitaria, desinati a rispondere a bisogni sia al domicilio, sia attraverso l’ accoglienza diurna, oppure in accoglienza residenziale. Questi insiemi di servizi danno vita alle “reti locali” destinate a rispondere ai diversi bisogni delle persone anziane e delle loro famiglie, siano essi di natura sociale o sociosanitaria. 
Le risposte, in particolare, attengono all’ambito dei servizi sociali, di norma di competenza dei Comuni, allorché si affrontano le problematiche relative alla vulnerabilità delle persone, mentre attengono all’ambito dei servizi sociosanitari, di norma di competenza del sistema sanitario, allorché si affrontano le tematiche relative alla “fragilità”.
Lunga è la storia dei servizi per le persone anziane e, tra questi, dei servizi residenziali, che sono andati progressivamente organizzandosi in tre fondamentali tipologie:
  1. servizi destinati ad accogliere persone con bisogni di natura sociale, con l’obbiettivo di favorire la dimensione delle relazioni sociali;
  2. servizi destinati ad accogliere persone con una modica fragilità, in particolare relativa alla cure domestiche, con l’obbiettivo di consolidare le capacità residue e favorire le relazioni interpersonali;
  3. servizi destinati ad accogliere persone con elevate compromissioni della autonomie personali e che necessitano di una elevata protezione, in considerazione della scarsa autonomia e della condizione clinica.
Spesso, in un sistema con notevoli diversità,a seconda delle realtà territoriali, tali distinzioni non sono così nette e, talora, strutture con diverse caratteristiche, quanto a utenza e ai servizi erogati, vengono denominate nella stesso modo, con il risultato che a un osservatore esterno risulta difficile ricondurre la tipologia di servizio alla tipologia di utenza, oppure l’acronimo utilizzato per indicare il servizio alla reale tipologia di utenza accolta e di servizi assicurati.
Ad ogni modo, in generale, le Rsa sono oggi, sulla base di quanto sin qui detto, unità d’offerta sociosanitarie che appartengono a quella sopra individuata come la terza tipologia di servizi residenziali. 
Orbene le Rsa hanno nel tempo, anche alla luce delle normative nazionali e regionali, visto modificarsi la tipologia di ospiti accolti e, di conseguenza, di servizi assicurati. Oggi le Rsa accolgono prevalentemente (nella misura di più del 75%) persone con una età superiore agli 80 anni, caratterizzate da elevata fragilità, in gran parte (oltre il 78%) non autosufficienti. A titolo di esempio, se prendiamo in esame la variazione della gravità e della complessità degli ospiti delle Rsa, risulta che nel periodo 2009-2016 (a proposito del quale possediamo dati completi) si è verificato un forte incremento: nel 2009 le persone con “alto bisogno assistenziale”, caratterizzato da elevata gravità e complessità, erano il 26% degli ospiti, mentre nel 2016 erano diventate il 36%.
Questi dati, insieme a molti altri, portano a ritenere che le Rsa siano oggi servizi «destinati a rispondere ad una fascia di popolazione anziana, spesso molto anziana, caratterizzata da significativi bisogni di natura sanitaria, cui si accompagna un elevato grado di non autosufficienza, quindi con elevati bisogni di natura assistenziale».
 
Una reale presa in carico
Se questo è il panorama, bisogna dunque, a nostro parere, ripensare al complessivo problema della risposta, che deve sempre più divenire una reale “presa in carico” delle persone anziane fragili e vulnerabili e delle loro famiglie, con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra la “qualità del vivere” e la “qualità dell’assistenza”, in modo che la dimensione “accuditiva” si realizzi all’interno di un contesto di relazioni interpersonali e affettive il più possibile ricco e coerente con i bisogni della persona.
Oggi vivere in Rsa significa, per le persone che vi sono ospiti e per le persone che vi lavorano, gestire quotidianamente un’esperienza nella quale le risposte ai bisogni della “non autosufficienza” si realizzano nel rispetto dei bisogni della “persona”, e si coniugano con le esigenze del suo contesto affettivo e familiare.
Questa è la sfida del futuro per il sistema dei servizi residenziali; da un lato, occorre creare servizi capaci di rispondere in modo appropriato ai bisogni delle persone non autosufficienti e fragili, creando nel contempo contesti di vita coerenti con i bisogni “immateriali” delle persone che in essi vivono.
Solitudine, difficoltà nella gestione della casa, difficoltà nella gestone delle attività quotidiane, difficoltà nella cura personale fino alla non autosufficienza devono essere considerate un continuum, non un unicum. Tali aspetti pongono bisogni ed esigenze tra loro assai diversi, che non possono trovare in una sola struttura la risposta più appropriata.
Il sistema dei servizi destinato alla terza età deve dunque essere basato su alcuni elementi fondamentali: il primo, quello della “affettività accuditiva”, nella quale le risposte ai bisogni della persona anziana si concretizzano e realizzano nel proprio contesto familiare, seppur sostenuto dai servizi; il secondo, quello dell’“accudimento affettivo”, nel quale il mondo dei servizi sia capace di modularsi e articolarsi per rispondere in modo appropriato ai bisogni della persona prima che ai bisogni della fragilità, fino a – terzo livello – una “protezione accuditiva”, nella quale la persona venga considerata al di là della propria non autosufficienza, anche in base a quelli che più sopra abbiamo definito “bisogni immateriali”.
 
Non soltanto dei più fragili
Il futuro del sistema delle Rsa, secondo Uneba, va pertanto immaginato in una prospettiva che le conduca sempre più a essere servizi di prossimità, avvero realtà vicine ai luoghi di vita della persona, e centri “multiservizi”, ovvero realtà capaci di farsi carico non soltanto dei bisogni delle persone più fragili, ma di un continuum di attenzioni e prestazioni da garantire a più soggetti, ovvero di un insieme di servizi capaci di aiutare – seppur per una parte della giornata – la persona anziana fragile e di sostenere la famiglia. Questo continuum dovrebbe erogare anche risposte residenziali, destinate a favorire la socialità, e organizzare, dove necessario, nuclei residenziali capaci di accogliere la persona non autosufficiente, nelle sue diverse dimensioni, e di “accudirla” grazie a un’insieme di risposte, sia di natura professionale che di natura relazionale.
Perché tutto ciò si realizzi, c’è bisogno di un complessivo ripensamento dei servizi rivolti alle persone anziane, fragili e vulnerabili, e – tra questi – delle stesse Rsa. Ripensamento che richiede, più che in passato, una forte regia centrale, che definisca le caratteristiche dei servizi e le loro modalità di finanziamento, al fine di evitare differenze tra contesti regionali e territoriali che, come troppo spesso oggi avviene, generino a livello locale situazioni nelle quali la “tutela” delle persone fragili è lasciata alle singole realtà o comunità.
 
Virginio Marchesi psicologo, membro della commissione Assistenza socio-sanitaria di Uneba