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7. L'invasione nella cultura della paura    versione testuale
 
È un dato oggettivo che in Italia gli immigrati rappresentano sostanzialmente l’8% della popolazione e, diversamente da quanto viene diffuso da politici e media, non rubano il lavoro a nessuno. La crescente scolarizzazione ha comportato un crescente impiego degli italiani in professioni ad alta specializzazione. Dunque, l’occupazione autoctona e quella immigrata in Italia sono prevalentemente complementari.
 
Nonostante la realtà dei fatti, “invasione”, “minaccia” ed “emergenza” sono stati i termini maggiormente utilizzati nel dibattito pubblico italiano per creare un clima di paura, e alimentare quei pregiudizi che oggi tanto stigmatizzano gli immigrati
 
È comprensibile avere timore di ciò che sembra tanto lontano da noi: è una risposta naturale e poco governabile. Si tratterebbe di una reazione involontaria, una sorta di “aggressione educativa” volta a spingere il ‘diverso’ a adattarsi alla norma del gruppo maggioritario, in modo che tutto rientri in quello che viene considerato l’ordine delle cose. Tuttavia, quando la paura diviene collettiva e incontrollabile a causa di chi la manovra per i propri fini, vengono generalmente attuate risposte sproporzionate e lesive della dignità umana.
 
Come ha ricordato più volte il cardinale Gualtiero Bassetti: “la paura non deve mai determinare le nostre risposte”. Forse come mai prima d’ora siamo chiamati a unire e non a dividere. Occorre reagire promuovendo una cultura della verità e praticando la tolleranza. La tolleranza, che si traduce in accoglienza e integrazione, è la base di un’etica condivisa ed è l’unica risposta possibile per dare una forma realistica alla speranza di un futuro migliore.