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Dal presente provvisorio al futuro generativo   versione testuale
21 maggio 2021

Si affaccia la seconda estate nel tempo drammatico del Covid. Bellissima e affamata, come tutte le estati. Eppure diversa, coniugata nel tempo verbale storto che ci tocca di imparare e che a scuola non ci avevano insegnato: il “presente provvisorio”.
È un tempo faticoso da masticare. Sospeso e fragile. Isolato e senza respiro.
Molto si è parlato, in questi mesi, delle conseguenze drammatiche che la pandemia e le necessarie misure di contenimento hanno provocato sulle vite di miliardi di persone in tutto il mondo, vittime di una cesura epocale, che le ha rese vulnerabili e sole. Ma se gli effetti socio-economici della crisi cominciano a essere misurati e le statistiche sull’occupazione, sulle condizioni di povertà e sullo scivolamento dei più fragili ci raccontano il dramma di una crisi planetaria che per molto tempo condizionerà paesi e individui, meno facile è determinare che cosa la pandemia abbia comportato per milioni di bambini e di bambine, di ragazzi e di ragazze, che per un lungo anno sono rimasti lontani dalle scuole chiuse, isolati nelle proprie abitazioni, separati dai propri amici, bloccati in una condizione incerta.
Un presente provvisorio, appunto.
 
Effetti profondi, situazione stressante
È proprio sui bambini e le bambine di tutto il mondo che la pandemia ha generato effetti profondi, spesso non immediatamente visibili, ma severi e destinati a durare. «I bambini non sono il volto di questa pandemia. Ma rischiano di essere tra le sue maggiori vittime», evidenziava già all’inizio del 2020 il report delle Nazioni Unite sull’impatto del Covid 19 sui bambini.
Un miliardo e mezzo di studenti in tutto il mondo è rimasto a casa, mentre le scuole erano chiuse. Di questi, almeno un terzo, oltre 463 milioni, non hanno avuto accesso alle misure di didattica a distanza, secondo il rapporto Unicef Covid-19: are children able to continue learning during school closures? A global analysis of the potential reach of remote learning policies using data from 100 countries, pubblicato nel marzo scorso.
Anche in Italia i bambini sono stati colpiti in modo drammatico dalla pandemia. Si tratta di un disagio orizzontale, diffuso, che tocca le esperienze di tutti i minori e che lascerà un’impronta profonda sulla loro vita, ancora da valutare pienamente.
Benché la comunità scientifica nazionale e internazionale si sia interrogata da subito sugli effetti che la pandemia stava comportato su bambini e adolescenti, l’ovvia mancanza di studi longitudinali su questo fenomeno, l’alternarsi di periodi di chiusura e riapertura e la variabilità delle condizioni ambientali complessive rendono difficile arrivare a risultati univoci.
In tutti gli studi si rileva però che la situazione stressante ha fatto emergere nei giovani paure e frustrazioni, connesse alle condizioni di salute proprie e dei propri cari, ma anche alle condizioni economiche familiari. Sono state fortemente modificate le routine quotidiane, con danni seri per il benessere: dal sonno all’attività fisica all’alimentazione.
In Italia, tutte le ricerche sono concordi nell’evidenziare la diffusione, tra i minori, dei sentimenti di tristezza, ansia e disagio, di bassi livelli di ottimismo, di basse aspettative per il futuro (cfr. Unicef Italia, Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università di Roma Tre, La vita in famiglia ai tempi del coronavirus, 2020).
Riguardo alla chiusura delle attività scolastiche, una ricerca dell'Università di Bologna ha sottolineato che «i bambini di età compresa tra 2 e 10 anni hanno una vita sociale attiva a scuola, che aiuta a imparare dai coetanei e ha un impatto positivo sullo sviluppo dei tratti della personalità e del senso di identità. Non solo, le interruzioni delle strette relazioni tra pari sono state associate a depressione, senso di colpa e rabbia nei bambini. Inoltre, i bambini in isolamento e quarantena hanno mostrato un aumento del rischio di sviluppare disturbo da stress post-traumatico, ansia, dolore e disturbo dell'adattamento. I genitori sono spesso gli unici fornitori di assistenza per i bambini, il che limita la loro produttività lavorativa, anche quando hanno la fortuna di avere un lavoro che consente loro di lavorare da casa. In alcuni casi, la convivenza forzata in un ambiente familiare, con genitori che soffrono di problemi economici e di salute mentale, espone i bambini al rischio di scoprire comportamenti violenti».
 
Scomparsi dai radar dell’opinione pubblica
Se tutti i bambini hanno dovuto fare i conti con un “presente provvisorio” tanto tragico, appare ancor più complessa, pur in un quadro di generale difficoltà, la situazione di quanti vivono in famiglie vulnerabili e  provengono da contesti di fragilità socioeconomica.
I dati diffusi in marzo dell'Istat raccontano di un’Italia con 9,5 milioni di persone in povertà, un milione in più dell’anno precedente, il valore più alto dal 2005, ovvero da quando abbiamo dati per questa serie storica.
Tra i più colpiti, ci sono i bambini e le bambine, i ragazzi e le regazze del nostro Paese. L’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale, infatti, di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005), per un totale di bambini e ragazzi poveri che, nel 2020, si è attestato a quota 1 milione 346 mila, 209 mila in più rispetto all’anno precedente.
Si tratta di bambini che hanno vissuto in case sovraffollate, che hanno fatto fatica ad avere a disposizione da subito device per la didattica, che hanno dovuto fare i conti con connettività ridotta o nulla. Si tratta di bambini che in alcuni casi avevano pasti equilibrati, assicurati dalle mense scolastiche, e che si sono trovati minacciati anche da un’insicurezza alimentare quotidiana.
Si tratta di bambini che hanno scontato in ambienti deprivati, e a volte impossibilitati a rimanere supportivi, una forte mancanza di apprendimenti, non relativa soltanto alle competenze di base curricolari acquisite tramite l’educazione formale, ma anche a un ben più complesso sistema di apprendimenti, plurale, multilivello, di cui ogni bambino ha bisogno per poter davvero accedere ai propri talenti, alle proprie aspirazioni e ai propri desideri, all’esercizio della piena cittadinanza, del gusto per il proprio futuro.
Nell’attenzione a quest’area di fragilità, vanno tenuti presenti i gruppi di minori particolarmente vulnerabili: gli adolescenti fuori famiglia, inclusi i minori in condizioni migratorie, rifugiati, apolidi, minori stranieri non accompagnati e neo-adulti. Questi ultimi, davvero, sono scomparsi dal radar dei media e dell’opinione pubblica, e non si è sufficientemente riflettuto su quanto il Covid abbia comportato, per loro, ulteriore isolamento, rischio di discriminazione, mancato accesso a diritti e opportunità.
Dopo un anno di chiusura, discontinuità e confusione, diventa dunque centrale ripensare a una modalità di accompagnamento che ponga il benessere dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazzi, e tra loro dei più fragili, al centro delle attenzioni della comunità.
Ripartire davvero, per il nostro paese e per le nostre comunità, è un’impresa che non può prescindere dal considerare come centrale la sfida del pieno protagonismo dei bambini, e della tutela e dell’accompagnamento dei più fragili tra essi.

Una sfida per le Caritas
È a partire da queste considerazioni, che anche le realtà Caritas, e la Chiesa tutta, sono chiamate a rileggere la grande tradizione educativa e di accompagnamento delle parrocchie, la rete degli oratori, i servizi socio-educativi, per ricollocarli nel paradigma rinnovato e centrale di una comunità davvero educante.
Con questo termine, ci si riferisce alla costruzione di alleanze stabili, nei territori, con altri soggetti del terzo settore e della società civile, e con la scuola come driver delle azioni e come organizzatrice degli apprendimenti. Tali alleanze devono essere concentrate su una crescita complessiva dell’attenzione ai bambini, su una formazione diffusa in tutti i contesti e con tutti gli spazi a disposizione.
Si tratta di immaginare una comunità intera fatta di occasioni di apprendimento, coordinate, secondo una logica di progetti individualizzati e centrati sui bambini e sui loro bisogni. Occorre immaginare luoghi di comunità capaci di rompere i confini tra formale, non formale e informale, dilatando spazi e tempi dell’apprendere, dove la cittadinanza diventa diritto esercitato e occasione di crescita.
In quest'anno, il lavoro di riflessione sul tema della comunità educante si è approfondito, producendo orientamenti e accompagnando le iniziative e le sperimentazioni con risorse anche economiche, che da tempo non erano state dedicate in modo specifico a questo tema.
Caritas ha condiviso occasioni di riflessione in seno al Forum Diseguaglianze e Diversità (interessanti le riflessioni contenute nell’Agenda italiana contro l’esclusione dal sapere) e nell’ambito della rete di reti Educazioni. Partecipa inoltre ai lavori del Gruppo di lavoro per la Convenzione dell’infanzia e dell’adolescenza e a quelli dell’Osservatorio infanzia e adolescenza.
Più in generale, l’emergere delle storie di vita, spesso taciute, dei bambini provati dalla pandemia può chiamare anche Caritas ad affinare le proprie modalità di accompagnamento e a farle maturare in esperienze sempre più significative di contrasto alla povertà educativa. Caritas deve coltivare l’ambizione di raggiungere tutti e ciascuno, in modo continuativo, competente, ricco e “antifragile” (nella definizione fornita da Nassim Nicholas Taleb, antifragile è «qualunque cosa tragga più vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali – o da alcuni shock – è antifragile; in caso contrario, è fragile. L’antifragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a sé stesso; l’antifragile migliora»).
Tutto ciò significa contribuire alla costruzione di comunità prossimali dense di cura, protese a generare futuro, non solo impegnate nella complessa gestione dell’emergenza presente. Caritas da sempre frequenta i territori della condivisione con il territorio di progetti di futuro, della costruzione di attenzioni militanti, della cura del dettaglio, di iniziative capaci di chiamare per nome le persone alle quali si rivolgono.
A partire da questa attenzione e questa ambizione, Caritas può chiedersi di crescere ulteriormente in competenze e capacità di confronto, e contribuire da subito a scrivere nuovi scenari di compagnia per i bambini e le bambine, a partire da questa estate, che segna un possibile laboratorio di pratiche e un utile semenzaio di futuro.
Si tratta di spazzare via il “presente provvisorio” e coniugare noi, le comunità, contro ogni più facile stanchezza, in un tempo rinnovato, riparativo e coraggioso, collettivo e di comunità: il futuro generativo.
 
Donatella Turri