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Martedì 17 Novembre 2020
La scossa più terribile, la condivisione più vera   versione testuale
17 novembre 2020

Il 23 novembre 1980, alle ore 19.35, una scossa di terremoto di magnitudo Richter 6.8, pari al 9° grado della scala Mercalli, per un minuto e 20 secondi colpisce un'area di 27 mila chilometri quadrati, tra le regioni Campania e Basilicata. L’epicentro, nel cuore dell’Irpinia.
Si tratta di un territorio tre volte più vasto di quello che aveva colpito il Friuli, quattro anni prima. I comuni interessati sono 280, vengono rasi al suolo 36 paesi, i crolli provocano 2.735 morti, 8.850 feriti e lasciano senza tetto circa 400 mila persone. Le diocesi maggiormente colpite sono Avellino e Potenza.
 
Coordinamento senza precedenti
A 40 anni di distanza, i segni di quel sisma devastante (il più grave nell’Italia del dopoguerra) continuano a rimanere sul territorio, fisico e psicologico, che ne fu teatro. Ma rimangono anche nella memoria dei molti che si mobilitarono in una straordinaria catena di solidarietà, a cominciare dalla rete Caritas. Nei due giorni successivi al sisma, infatti, monsignor Giovanni Nervo, all’epoca numero uno di Caritas Italiana, accompagnato da don Elvio Damoli e monsignor Antonio Tepedino, delegati regionali Caritas rispettivamente della Campania e Basilicata, visita le zone maggiormente colpite. La situazione appare immediatamente catastrofica.
Vengono attivati, sotto la direzione di Caritas Italiana, coadiuvata dai delegati regionali, due centri di coordinamento, a Potenza e Avellino, e un deposito a Capua per stoccare e distribuire quotidianamente, e secondo le richieste delle parrocchie colpite, l’enorme quantità di materiali di soccorso che sin dai primi giorni arrivano da tutta Italia, da diocesi, parrocchie, aziende, privati.
Nella sede di Caritas Italiana si riuniscono i responsabili delle maggiori associazioni e movimenti di ispirazione cristiana e delle congregazioni maschili e femminili. Si avvia così un percorso di confronto e coordinamento, in cui si condividono gli obiettivi generali e si concordano le metodologie di presenza e di intervento. I primi orientamenti prevedono che si presti aiuto ai paesi e frazioni sperduti e alle persone più vulnerabili; che si operi nel rispetto delle tradizioni, dei valori, delle sensibilità religiose e civili della popolazione; che ci si adoperi per sostenere e rafforzare la realtà familiare, quale base per una ripresa dell'intero contesto sociale.
 
I gemellaggi e i Centri della comunità
L’inverno arriva presto, dopo il terremoto. Il freddo in quelle zone, molte di montagna, rende ulteriormente difficile la vita a una popolazione già straziata. Per tale motivo Caritas Italiana, in pieno accordo con i vescovi delle diocesi interessate dal sisma e in sintonia con l’azione governativa, si orienta ad accelerare la costruzione di Centri di comunità, a cominciare dai paesi più isolati e montani. Al termine dell’intervento, saranno oltre 300 le località che usufruiranno di questi prefabbricati di diverse dimensioni, secondo le esigenze locali.
La positiva esperienza dei gemellaggi sperimentata in occasione del terremoto in Friuli nel 1976, persuade inoltre Caritas Italiana a riproporre il sistema del gemellaggio tra diocesi italiane e diocesi e parrocchie colpite dalla catastrofe. Anche in questa occasione, la proposta dei gemellaggi viene accolta con entusiasmo dai vescovi, come forma di comunione fra Chiese, con lo scopo di assicurare un sostegno morale e materiale per tutto il tempo dell’emergenza acuta e della ricostruzione. Al 1° gennaio 1981, sono 120 le diocesi che aderiscono alla proposta di gemellaggio con altrettante parrocchie terremotate. Tutte le diocesi gemellate garantiscono per un lungo periodo la presenza in loco ininterrotta di due religiose o religiosi, un seminarista, un gruppo di volontari e di obiettori di coscienza in servizio civile.
La garanzia di questa presenza stabile, durata nella stragrande maggioranza per alcuni anni, permette di personalizzare i rapporti tra le comunità attraverso l'azione di centinaia volontari, che consentono un ricco scambio di valori e di cultura: è un rapporto di osmosi umanamente e cristianamente davvero efficace, un legame di fraternità e condivisione che si concretizza attraverso centinaia di azioni e servizi.
In uno dei tanti incontri di coordinamento tra i direttori delle Caritas diocesane, il direttore della Caritas di Genova, don Piero Tubino, cosi si esprime: «Quella terra del Sud così colpita è parte della nostra Chiesa. È necessario andarci a vivere con la sua gente; non ci sono fatti sconcertanti, o dicerie, o giudizi negativi che valgono a scusarci e a rinchiuderci nel nostro mondo privilegiato, che ha alle spalle una storia ben più fortunata. Vorremmo che nessuna comunità parrocchiale se ne stesse tranquilla e assente in questa occasione storica per vivere il Vangelo».
Il gemellaggio vissuto in questa forma di condivisione diventa un’esperienza di profondo scambio umano e comunitario, incentrato non solo e non tanto sul denaro e sugli aiuti materiali, quanto sulle persone che si rendono presenti nei luoghi, per stare accanto e vivere le gioie e i dolori con spirito di ascolto e di servizio.
 
Ricorso al servizio civile
Il 29 settembre 1981 Caritas Italiana promuove un convegno nazionale a Pompei, al quale partecipano numerosi sindaci, parroci, giovani delle zone terremotate e delle diocesi gemellate. Invitato speciale è l’onorevole Giuseppe Zamberletti, Commissario straordinario per il governo alla gestione dell’emergenza.
Il convegno ha per oggetto l’attuazione dell’articolo 68 della legge sulla ricostruzione, che consente a giovani di leva degli anni 1981-'83, residenti nei comuni danneggiati dal terremoto, di scegliere il servizio civile nella Protezione civile, al posto del servizio militare. Risulta, infatti, che sono oltre 19 mila i giovani che hanno fatto domanda, mentre i Comuni terremotati che devono chiederne l’utilizzo sono quasi tutti latitanti. A seguito delle proposte scaturite dal convegno, l’onorevole Zamberletti sollecita con determinazione le amministrazioni comunali ad aderire alla convenzione con il ministero della difesa prevista dalla legge. I positivi risultati del convegno, di lì a poco, saranno tangibili.
In seguito due eventi, in occasione del primo anniversario del sisma, si rivelano fonte di grande speranza. L’Assemblea della Cei nel maggio 1981 e il Consiglio permanente, in ottobre, danno vita a una Commissione mista formata da alcuni vescovi, superiori generali di congregazioni religiose e rappresentanti di associazioni e movimenti ecclesiali. È una iniziativa di particolare importanza, perché a questa commissione viene dato il compito di studiare e proporre forme concrete, organiche e continuative di sostegno e cooperazione pastorale con le Chiese locali colpite dal terremoto. Pochi mesi dopo, sono già una decina le comunità di religiose e religiosi che si stabiliscono nelle zone terremotate, per vivere accanto alle popolazioni terremotate. Negli anni a seguire, le presenze di consacrati supereranno le 100 unità; alcuni di essi rimarranno stabilmente in quei luoghi.
A un anno dal sisma, la sera del 23 novembre 1981 Caritas Italiana organizza “La marcia della ricostruzione”, da Pescopagano, in provincia di Potenza, a Conza della Campania, in provincia di Avellino. La partecipazione è massiccia, prevalentemente si tratta di giovani provenienti dalle zone terremotate e volontari dalle diocesi gemellate. Sono centinaia di persone, che rappresentano un segno di speranza per la ricostruzione e fungono da stimolo per tutta la Chiesa italiana a continuare la solidarietà con le popolazioni colpite, e da monito verso le pubbliche autorità a proseguire senza indugi l’ardua opera di ricostruzione. 
La marcia è guidata da monsignor Vincenzo Fagiolo, presidente di Caritas Italiana; a Conza la messa è presieduta dal cardinale Corrado Ursi, arcivescovo di Napoli. Inizia esattamente alle 19.30, l’ora della scossa, ed è preceduta da 80 secondi di silenzio, gli 80 interminabili secondi della scossa.
 
L’eterna “questione meridionale”
Nei giorni 27, 28 e 29 novembre 1981, sempre a Pompei, le diocesi terremotate si riuniscono insieme ai rappresentanti delle 120 diocesi gemellate in un convegno ecclesiale, per fare il punto sulla presenza della Chiesa nel terremoto, nel superamento dell’emergenza e nella ricostruzione sociale, materiale e spirituale. A scrivere il testo base è don Bruno Forte, al tempo docente di teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia meridionale. Scrive don Forte: «L’antropologia e la sociologia del terremoto non nascono con il terremoto della natura. Esse sono segnate dall’eredità del passato, dal terremoto della storia. Il terremoto naturale, cioè, è intervenuto sul precedente degrado economico, sociale e politico del Mezzogiorno. La “questione del terremoto” non è che la “questione meridionale”, aggravata ed evidenziata di fronte alla coscienza civile del paese. la persona terremotata non è che una persona del Sud con i suoi problemi di sempre, resi più gravi da quel 23 novembre: profonda disgregazione del tessuto sociale e divario Nord-Sud mostrano come lo sviluppo industriale del nord si sia realizzato a prezzo del mantenimento del sud in una condizione di dipendenza e di arretratezza politica, sociale ed economica».
Anche la Chiesa lucana e campana si scoprono parte di quella questione meridionale, e il terremoto diventa occasione per una profonda riflessione, a tutti i livelli, per evitare eventuali disgregazioni, e scoprire anzi di poter agire come leva di autentico cambiamento. Leva che negli anni successivi, ricchi di contraddizioni politiche, economiche e organizzative sul fronte della ricostruzione, le Chiese di ogni parte d’Italia continueranno a cercare di essere, sul fondamento della straordinaria mobilitazione che seppero attivare sin dalla prima ora dopo il sisma.
 
Francesco Maria Carloni